lori goldston concerto

lori goldston concerto

Carl Theodor Dreyer non scelse mai una partitura per La Passion De Jeanne D’Arc, ma è di certo un film che parla ad alta voce anche senza sonoro. Lungo la propria carriera Lori Goldston ha lavorato a decine di film muti e su Film Scores (Sub Rosa, 2013) si possono ascoltare alcuni brani della musica pensata per la pellicola del 1928: si tratta di una delle sue tante “collaborazioni con i morti”, come le ha definite, in cui più che ultimarlo ha voluto dialogare con un capolavoro del passato.

Ricordata dai grungiofili per il tour coi Nirvana tra il 1993 e il 1994 (di cui MTV Unplugged In New York è prezioso testimone), la musicista di Seattle vanta tra le collaborazioni con i vivi quelle di David Byrne, Matana Roberts, Cat Power, degli Earth, e ad accompagnarla è una fama da rock star che, assieme ai conoscitori, porterà al Teatro Altrove di Genova un buon numero di nostalgici e di curiosi.

I Bobsleigh Baby

La prima metà del concerto è riservata ai Bobsleigh Baby, la formazione romana che con Improved (Monofonus, 2014) è entrata nel novero della Grande Alliance Internationale de l’Est, misterioso – e ironico – collettivo che lega gli esponenti di una sotterranea cultura ‘noise’ sotto il simbolo della Croce di Lorena, nella variante a tre rami riprodotta su “album, locandine di concerti, vasetti di yogurt e atti di morte”.

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Si inizia con Hup Blue 66, da subito aggressiva, debordante – e chi segue un po’ la critica musicale sa quanto un buon punk debba essere “debordante” – nella distorsione della chitarra e nel risuonare delle voci di Bob Junior e Silvia Pirolli.

Già le successive Liar, A Thing Like That, Education, compendiano alcune delle caratteristiche più impressionanti della band: l’angosciosa ripetizione dei riff di organo, corde di chitarra graffiate con violenza, la tensione dissonante tra la voce femminile e quella maschile effettata spaventosamente; ma dalla coralità delle composizioni, dalla bonarietà della cantante mentre suona il tamburello o finisce un bicchiere di vino, viene fuori l’anima compagnona dei Bobsleigh Baby, con un calore che scioglie il gelo del loro rock disturbante.

 

Mentre il concerto va avanti diventa chiaro che qui il rumore non è solo una retorica, ma rappresenta una vera e propria ricerca poetica: è il caso dei ‘colpi’ di organo in Improved, dei rapidi stacchi di batteria in Slow Down, di tutta una cura per il dettaglio rumoroso che restituisce al pubblico un garage rock scarno ed incisivo.

Dopo May I Smoke? Silvia lancia in aria il tamburello e ridendo lo colpisce col piede, rilassata immagine di un concerto che sta finendo. Billy The Kid è infatti l’ultimo brano, e applausi e affetto del teatro non bastano a far tornare sul palco i Bobsleigh Baby per il bis.

La performance di Lori Goldston

Riprendiamo dall’incipit. Un pittore o un fotografo capaci sono in grado di cogliere una bellezza e di maggiorarla, di rendere quel senso di inafferrabilità di un soggetto mentre lo si ‘afferra’, immortalandolo: nel cinema questa proprietà viene detta “fotogenia”.

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La fotografia di Rudolph Matè sapeva sfruttare lo splendido viso di Renée Falconetti per dire il trasporto e la devozione di una Giovanna d’Arco mai così realistica nella storia del cinema. In maniera simile Lori Goldston sa dare alla sua musica una significanza dinamica, ricca, maggiorata dal confluire delle arti e dei linguaggi toccati durante tutta la carriera, per la versatilità di una tecnica che sa fare propri anche molti chitarrismi (se non addirittura sassofonismi).

È artista passionale e devota, vorrà suonare senza alcuna amplificazione e per un piccolo ronzio, durante il concerto, farà spegnere le casse ancora accese. In una sequenza del film di Dreyer, una mosca si posa sul viso della pulzella d’Orleans, senza che per questo si faccia meno solenne: impedendo a tutti la vista, uno spettatore si metterà sotto al palco per fare alcune foto da vicino, ma la ragazza di Seattle continuerà a suonare attenta il violoncello.

L’anima improvvisativa del concerto

Il concerto si articola in tre pezzi – 7 o 8 movimenti in totale – per 45 minuti di improvvisazione violoncellistica. Il suono è una naturale estensione del pensiero di lei, che non si interrompe mentre raccoglie l’arco, si aggiusta i capelli, accorda lo strumento in itinere, con naturalezza.

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Se non usa l’archetto guida la melodia col pizzicato, col finger-picking, fa interi accordi con pennate del pollice. Sorprende lo spessore delle basse frequenze, a volte sensibilmente ruvide, distorte, caratterizzate da vibrazioni e sfasamenti che un musicista elettronico faticherebbe a riprodurre.

Il teatro è in silenzio assoluto, si può sentire il rumore sordo delle corde premute sul manico e in un’atmosfera tanto raccolta ogni piccola cosa assume un valore: dalle grandi onde disegnate in aria dall’archetto nel terzo movimento, ai veloci battiti della scarpa sul palco durante il quarto (che si direbbe concertato per violoncello e piede).

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L’impressione è che tra bassi continui e onnipresenti, come invischiate in un unico accordo, idee melodiche diverse si agitino nel tentativo di esprimersi: il risultato è un altalena di emozioni contrastanti, all’interno di un flusso dove ogni cosa diventa accenno, dove per libertà di ritmo e armonia anche le originarie strutture folk (Cruel Sister, My Name Is John Johanna) si perdono del tutto.

Poco più di mezz’ora e coloro che, forse, si aspettavano di sentire Come As You Are o Something In The Way cominciano a lasciare la sala. Il rumore sempre più frequente di porta che sbatte rischia di spezzare l’incantesimo ma è sulla fine, per fortuna, che la risposta partecipe del Teatro Altrove si fa sentire, spingendo la Goldston a donare al suo pubblico lo splendido encore. Finirà l’episodio fischiettando, per dire ciao.

Fotografie di Erica Moresco

https://www.youtube.com/watch?v=4lTDSfGf0BU

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Amo la critica letteraria e quella musicale. Sono laureato in Arts, Lettres, Langues all’Università di Parigi (Sorbonne Nouvelle) e curo un blog letterario di nome Blu Carmeo.

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