beach house depresssion cherry cover

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Beach House: il nuovo disco suona come il precedente

L’idea iniziale era di copiare-incollare la recensione del precedente Bloom cambiando i titoli dei pezzi citati. Tanto i dischi dei Beach House funzionano più o meno sempre allo stesso modo, con il loro dream-pop codificato persino nei sogni che evoca. Il dovere di cronaca imponeva però di dar conto dello sbandierato ritorno alla semplicità (e alla drum-machine) da parte di Victoria Legrand e Alex Scally dopo i presunti barocchismi di Bloom, ritorno che la stampa indie ha celebrato assegnando a Depression Cherry i soliti votoni. Ora il duo di Baltimora non è certo male, ma se fossero loro il meglio della scena attuale saremmo fregati come John Martyn in una sala da tè, diciamolo onestamente. Qui c’è tanta intenzione e nessuna tensione; ad esempio la dolcezza contrappuntata di ossessività di Sparks interessa all’inizio e dopo poco annoia per mancanza di sviluppi. Peggio ancora 10:37, che dura per fortuna solo 3:48 di la la la più lagnosi che suadenti.

Depresson Cherry convince solo a tratti

Qualcuno dovrebbe dire ai due che non sono toccati dal genio qualunque cosa facciano; invece, come tutti, a volte la azzeccano a volte no. I momenti migliori sono quelli più indifesi sentimentalmente e più lineari musicalmente come PPP (con probabile citazione dell’omicidio di Pier Paolo Pasolini) e soprattutto Space Song, sciabordante senza vergogna come un lentone estivo e con drum machine appena riprogrammata da un bagnino karaoker. Orribile? Perfetta invece, forse perché una volta tanto l’intenzione ha dato risultati sbagliati.
L’ultima parte è piuttosto noiosa (ci si accorge giusto del bell’inizio polifonico di Days Of Candy) e dimostra che anche stavolta, e a prescindere da strumenti e produzione, il dream-pop dei Beach House è molto dream e poco pop, visto che manca di canzoni memorabili.

E così, a fine ascolto, sale insopprimibile il desiderio di mettere sul piatto del giradischi il vinile appena acquistato di Honky Chateau di Elton. Poche storie, quello è il pop: poetico, paraculo, scemo, vero.

6/10

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Nello scorso secolo e in parte di questo ha collaborato con Rockerilla, Musica!, XL e Mucchio Selvaggio. Ha tradotto per Giunti i testi di Nick Cave, Nick Drake, Tom Waits, U2 e altri. E' stato autore di monografie dedicate a Oasis, PJ Harvey e Cranberries e del volume "Folk inglese e musica celtica". In epoca più recente ha curato con John Vignola la riedizione in cd degli album di Rino Gaetano e ha scritto saggi su calcio e musica rock. E' presidente della giuria del Premio Piero Ciampi. Il resto se lo è dimenticato.

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