radiohead a moon shaped

radiohead a moon shaped

Due recensioni di segno quasi opposto per uno dei dischi più attesi dell’annata

 
di Mariangela Macocco
 
È stata segnata da indizi sempre più numerosi e chiari dell’imminente e atteso ritorno dei Radiohead in scena, questa primavera del 2016.  A marzo il repentino annuncio di un tour mondiale, con date sold out già prima dell’effettiva messa in vendita dei biglietti, poi l’intricata e divertente caccia al tesoro messa in scena dal gruppo di Oxford per la pubblicazione dei primi due singoli estratti dal nuovo lavoro, Burn the Witch e Daydreaming (con tanto di colpo di scena, la breve e inaspettata cancellazione degli account ufficiali da tutti i social network e l’altrettanto sorprendente riapparizione). Niente di particolarmente insolito per chi da anni segue e ama il geniale quintetto, da sempre fuori dal coro e in anticipo di qualche decennio su quelle che saranno poi tendenze e mode da seguire. 
Domenica sera alle 8, ora italiana, abbiamo finalmente avuto la possibilità di ascoltare A Moon Shaped Pool: cosa possiamo davvero dire di questo nono album dei Radiohead? Avrete già letto molte recensioni, alcune estremamente elogiative, altre simmetricamente estremamente critiche, seguendo la moda un po’ in voga di questi tempi (“ diamo addosso ai Radiohead”).
Chi scrive ama particolarmente i Radiohaed, la genialità irriverente di Yorke, capace di intuizioni musicali sorprendenti, amante di sonorità spesso molto differenti fra di loro e che riesce, nel suo universo sonoro, a fare convivere musica techno ed elettronica, come più classiche nuance acustiche. C’è poi il brillante estro musicale di Jonny Greenwood, compositore raffinatissimo e colto, nel senso più classico del termine. Il nuovo lavoro è una sintesi perfetta di queste due personalità diverse e complementari, un album bellissimo, dalle mille sfaccettature: ci presenta nello stesso istante il passato, il presente e il futuro dei Radiohead. Non è un caso che l’ultima traccia sia proprio un brano scritto nel 1995, amatissimo dai fan, più volte proposto live, presentato qui in un arrangiamento dalla bellezza struggente, ovvero True Love Waits: una dedica ai fans che hanno tanto atteso il loro ritorno?
Ma andiamo con ordine. Ad aprire l’album è Burn the Witch. Accompagnata da un video di animazione realizzato con la tecnica stop-motion, è anche la traccia più dichiaratamente politica; chiari i rifermenti alle persecuzioni per motivi razziali e religiosi e alla necessità di mantenere vivi i principi democratici dell’inclusione e dell’integrazione in questi tempi bui segnati da più di un populismo. Quanto alla musica, si regge essezialmente sulla grandiosa orchestrazione messa in atto da Greenwood, coadiuvato dalla London Contemporary Orchestra: sontuosi archi fanno da contrappunto e si mescolano alla voce di Yorke creando un effetto straniante e di grande suggestione.
Subito dopo arriva Daydreaming, pubblicata lo scorso venerdì assieme a un bellissimo video di Paul Thomas Anderson (già autore del lungometraggio Junun a cui aveva collaborato con Greenwood). E’ una malinconica ballata dominata da uno splendido pianoforte, al quale si aggiungono, in un crescendo emotivo, gli archi e che si chiude a sorpresa con un sample riprodotto al contrario nel quale Thom Yorke sembra dire: “every minute half of my love”. Indubbiamente uno dei brani più belli dell’album, ma la sequenza di perle che i Radiohead hanno deciso di regalarci non si arresta ed ecco Decks Dark. Dimensione personale e dimensione politica sembrano intrecciarsi nel testo di questa ballata in cui batteria, chitarra e piano creano lo sfondo perfetto sul quale domina pura come un cristallo la voce in falsetto di Yorke – uno dei più bei brani dei Radiohead di sempre. “And in your life, there comes a darkness/ And a spacecraft blocking out the sky/ And there’s nowhere to hide/ You run to the back and you cover your ears/ It’s the loudest sound you’ve ever heard/ In your darkest hour”, canta Thom. Come dicevamo personale e politico si mescolano e non si riesce più davvero a distinguere le vicende private dalle tragedie collettive dei rifugiati politici. Avevamo già avuto modo di ascoltare in anteprima a Pathway to Paris sia Desert Island Disk sia Silent Spring, ora ribattezzata The Numbers. Se la versione parigina regalataci dal solo Thom Yorke era estremamente scarna e la voce semplicemente accompagnata dal suono di una chitarra, le due stesure incluse nell’album si arricchiscono di nuovi arrangiamenti che ne incrementano la potenza espressiva. 
Magnifica anche Ful Stop, suonata già live in occasione del tour del 2012, una traccia in stile krautrock e a tratti psichedelica, estremamente coinvolgente che si inserisce perfettamente a metà album, quasi a spezzare la languida emotività di quello che si è già ascoltato e di quello che si ascolterà. Subito dopo arriva infatti la commovente Glass Eyes ed è difficile gestire l’altalena emotiva che i Radiohead sono riusciti a creare con questa apparentemente casuale successione di tracce, in un freddo ordine alfabetico. Ipnotico il ritmo di Identikit, altro brano suonato live nel 2012 che acquista ora nuova linfa in una versione arricchita e potenziata grazie all’apporto del solito Greenwood. Completano il lavoro Present Tense, Tinker Tailor Soldier Sailor Rich Man Poor Man Beggar Man Thief e True Love Waits che, come detto, pare suggellare la grande storia d’amore fra il quintetto di Oxford e i suoi fans. 
A prestissimo, dunque, live. 

9,5/10

 httpv://www.youtube.com/watch?v=yI2oS2hoL0k

Burn The Witch

di Marina Montesano e Antonio Vivaldi

 
Certo che il tempo passa in un attimo, viene da pensare trovandosi davanti (anzi tutt’intorno, dato l’interesse che l’uscita sta suscitando) il nuovo disco dei Radiohead. Sembrava ieri che il gruppo si era preso una pausa in odore di mezzo scioglimento e oggi riecco Thom Yorke e compagni di nuovo con noi. Considerata la dimensione un po’ astratta (per non dire peggio) del precedente King Of Limbs e le complicazioni senza giusta causa del disco a nome Atoms For Peace, le speranze di emozioni a cuore aperto, come ai tempi di OK Computer ma anche del meno acclamato In Rainbows, non erano molte e così è stato.
Lavoro pastorale, viene definito nei primi commenti A Moon Shaped Pool. Un bel suono molto stratificato è quanto propone l’iniziale Burn The Witch che sembra sintetizzare buona parte del disco: inizia bene e poi non va da nessuna parte. Ormai sono in molti ad aver abolito la struttura tipica della canzone pop: strofa/ritornello magari bridge, ma ciò non toglie che anche tipologie più destrutturate debbano avere un esito, che spesso ai Radiohead odierni manca. Si accoglie con gioia a metà programma l’arrivo di Identikit, che ha una ritmica incalzante e risulta subito interessante, ma è un po’ un’eccezione, spesso verso la metà di ogni brano arriva un certo torpore – creativo e anche dell’ascoltatore. Per esempio Tinker Tailor Soldier ecc… è davvero irritante nel suo non andare, come Burn The Witch, in alcuna direzione. Altrove ci sono buffi ripescaggi anni ’70, come in The Numbers dove si trova una chitarra con accordi Led Zeppelin e timbro John Martyn. E qui e lì viene in mente che questo sia un nuovo canone di classic rock – anche se agli hipster che li seguono l’idea non piacerebbe. A tratti si percepisce una dimensione molto Pink Floyd  (e non è un complimento), mentre un caso interessante è rappresentato da Ful Stop, dove almeno l’equivoco-canzone viene cancellato da una struttura che fa pensare a un tema da colonna sonora con voce aggiunta; come a dire che la vera forza creativa del gruppo è oggi forse più Jonny Greenwood che Thom Yorke (spesso noioso e involuto vocalmente, va aggiunto). Diversi fra i brani sono vecchi, già eseguiti nei decenni scorsi dal vivo; nel caso dell’ultima True Love Waits non pare nemmeno la versione migliore. Che raschino il fondo del barile creativamente? Sanno creare hype, come hanno fatto con la campagna internet precedente l’uscita, anche con una qualche nonchalance molto studiata, tipo l’ordine alfabetico dei pezzi.  Però il prossimo disco potrebbero farlo di cover (apocalittiche, s’intende); magari qualche melodiuccia si riuscirebbe a sentirla.

6,5/10

httpv://www.youtube.com/watch?v=TTAU7lLDZYU

Daydreaming

 

print

Lascia un commento!

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.