di Fausto Meirana
Sono tutt’altro che semplici, ma sono comunque canzoni, e questa, per Jim O’Rourke non è certo la norma; il chitarrista e produttore di Chicago, ora residente in Giappone, ha fatto dell’eclettismo una ragione d’essere, divagando dal jazz al noise, dalle disordinate avanguardie musicali a solidi gruppi come i Wilco; le sue collaborazioni o produzioni sono innumerevoli (per l’elenco sicuramente incompleto guardate pure su Wikipedia). Con gli anni O’Rourke ha preso confidenza con la sua voce e, nella dimensione cantautoriale di Simple Songs, qualcuno ha ritrovato i caldi toni di Cat Stevens o quelli aspri di Peter Gabriel, mentre i complessi arrangiamenti guardano ancora agli anni ’70, come nel pastiche pop-sinfonico di Half Life Crisis o nelle citazioni progressive di Last Year. In altre parti del disco, le folate d’archi e le atmosfere tinte di jazz chiamano in causa le affascinanti architetture sonore del grande Van Dyke Parks. Un ottimo disco, in ogni caso, ma freddo e calcolato, imparentato per certi versi con l’algidità dell’ultimo Beck, Morning Phase. Chissà se gli studi e i musicisti ‘made in Japan’ ne possano essere, in parte, la causa?
7,5/10
httpv://www.youtube.com/watch?v=9qA9rAaeEOs
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