The Telescopes a Pisa – Circolo Caracol, 15 settembre
Cosa ti puoi aspettare da una band che esiste da più di trent’anni? La ragione suggerirebbe: niente, quel che doveva dire l’ha detto. L’esperienza, invece, conferma che il vino, se è buono, più invecchia e più migliora.
Infatti, Stephen Lawrie è un eroe e The Telescopes una delle grandi band di quel rock inglese dei primi anni Novanta che resisteva all’attacco del grunge. E’ sempre lui al timone di una formazione dove i musicisti sono cambiati nel corso del tempo, mantenendo però un’attitudine ben precisa a dispetto delle varie mutazioni sonore. La psichedelia contenuta anche nell’ultimo album, Exploding Head Syndrome, che mi ha ricordato in molti frangenti gli amati Spacemen 3, è il frutto di un certosino lavoro solitario di Lawrie, con la creazione di un suono che si poggia sulle chitarre, che però suonano in maniera da non sembrare necessariamente tali, mentre la voce resta dietro, con un effetto sottilmente disturbante.
Il muro del suono dei Telescopes live
Questa prospettiva, dal vivo, cambia e si fa più diretta e frontale. L’esibizione al Circolo Caracol di Pisa, caratterizzata da una stratificazione di distorsioni e feedback costante, col suo insopportabile muro di suono, mi ha reso plausibile la leggenda secondo cui l’ingaggio per la Creation arrivò dopo che Alan McGee, costretto a scappare da un loro concerto a causa del rumore insopportabile, si entusiasmò a tal punto da proporre alla band la firma per lo storico terzo Lp.
In altre parole, dal vivo la percezione è differente: le chitarre sono chitarre e la batteria è una pulsazione vigorosa. E i musicisti che accompagnano Lawrie, a dispetto della relativa staticità di quest’ultimo, sudano e si dibattono quanto basta.
Il coinvolgimento del pubblico
Il giovane chitarrista – tutti e quattro sul palco hanno i capelli lunghi che coprono il viso, adornato (si fa per dire) da un paio di baffetti krauti nel caso del bassista e da una barba da cavernicolo per il batterista – si gioca anche la carta del coinvolgimento del pubblico, ma vi potete immaginare la situazione: porge la sei corde agli spettatori e lascia che se la passino fra loro per suonarla, mentre lui armeggia con gli effetti. Poi ruba un piatto al batterista e lo mette al centro della sala, perché chi vuole lo possa percuotere con la bacchetta. Il pubblico, non numerosissimo, ma appassionato, apprezza. E però la mia personale apoteosi, quella del vecchio fan, arriva quando suonano The Perfect Needle dall’esordio Taste. Dopo trent’anni, il primo ascolto.
Nel video un altro concerto del tour del trentennale dei Telescopes, a Madrid: