gallon drunk

gallon drunk

di Antonio Vivaldi

James Johnston, frontman dei Gallon Drunk, è uno che ci crede. Dopo anni e anni di concerti potrebbe far poche storie se il pubblico davanti a lui è un po’ tiepido e pare incollato alle sedie del locale, gli basterebbe suonare un’oretta di concerto e andarsene. Invece scende dal palco chitarra alla mano durante il prima pezzo, si aggira fra quelle sedie e quei i tavolini che gli danno tanto fastidio, dice “Non state lì come dei cazzo di pippaioli. Se vi alzate poi non avrete più voglia di sedervi”. La platea obbedisce e in effetti succede quel che Johnston aveva anticipato (in realtà la gente non sta proprio sotto il palco che, essendo piuttosto basso, fa rischiare il contatto delle facce di quelli in prima fila con il manico della chitarra o l’asta del microfono roteata da Johnston). Quel che propone il quartetto londinese è il classico concerto di ‘rock primario’ nel senso migliore del termine: torrenziale, torrido, sudato, rumoroso e senza ripari melodici per le orecchie degli ascoltatori . Più che gli attesi riferimenti a Nick Cave e ai Bad Seeds (di cui il cantante-chitarrista ha fatto parte), quel che si ascolta è un suono che fa pensare allo swamp rock dei Gun Club oppure al rock inglese  anni ’60 più grezzo dei Troggs e dei primi Stones ancora carichi di blues.  A fungere  da contraltare all’agitato leader  provvede il compassato Terry Edwards, preparato polistrumentista con una curiosa passione per le maracas e responsabili di caldi interventi al sassofono nello stile simil-jazz dei Morphine. Nel gran finale di Killing Time e Some Cast Fire Johnston crea un portentoso groviglio di cavi intorno all’asta del microfono (nemmeno Nick Cave nella su amiglior versione Paperino riesce a essere così pasticcione) mentre Edwards lo guarda con un mezzo sorriso e con l’aria di pensare: “Anche stasera la stessa storia, però anche a questi è riuscito a fargli alzare il culo dalla sedia”.

 

httpv://www.youtube.com/watch?v=ZgXBGv_zdVI

Gallon Drunk – Killing Time

 

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