NickCaveLondon1

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Lo storico Hammersmith Apollo che trent’anni fa ospitò l’ultima apparizione di Ziggy Stardust (continuiamo per questo a preferire il vecchio nome al nuovo Eventim Apollo) è la sede perfetta per accogliere il ritorno di Nick Cave e dei suoi Bad Seeds dopo l’ottimo Push The Sky Away. I concerti sono sold out da mesi e la sala si riempie rapidamente mentre la guest band Shilpa Ray And Her Happy Hookers riscalda il pubblico già presente; a dire il vero, però, la brava Shilpa si presenta senza Happy Hookers, accompagnandosi al solo harmonium: belle canzoni e voce splendida; con una band dovrebbe poter offrire uno spettacolo notevole. Comunque da seguire, al contrario delle Colettes che si aggiungono la seconda sera, simpatiche ma del tutto inconsistenti.

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Puntuali, alle nove i Bad Seeds sono sulla scena, immediatamente seguiti da un Nick Cave vestito di uno scintillante (sembra raso) completo nero; nerissimi sono anche i capelli e il trucco sottile ma evidente che gli mette in risalto gli occhi. Si comincia con l’atmosferica We Know Who U R, seguita da una Jubilee Street ben più muscolare che su disco, il cui finale vede un Nick Cave che, “vibrating and trasforming” come il protagonista della canzone, percorre il palco da un capo all’altro e si protende verso un pubblico già in estasi. Abattoir Blues è secca e metallica come si richiede, ma è con la successiva Tupelo che Nick Cave si scatena, saltando (da due ‘ponti’ creati appositamente) sulle transenne e protendendosi sul pubblico che a sua volta si protende a toccarlo, a sostenerlo, a tirarlo. La performance è impeccabile, Cave si muove con un’agilità e un senso dello spazio ammirevoli non soltanto in un uomo di 56 anni. L’atmosfera si calma un po’ con Mermaids ma esplode nuovamente con From Her To Eternity.

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Ovviamente non mancano alcune delle grandi favorite dal vivo: The Mercy Seat, Stagger Lee, Red Right Hand, le già ricordate Tupelo e From Her To Eternity vengono ripetute entrambe le sere. Nel primo concerto i momenti più rilassati sono forniti da Love Letter e Far From Me, nel secondo da West Country Girl, God Is In The House, Into My Arms e People Ain’t No Good, durante le quali il cantato è talvolta meno ricco di sfumature rispetto a quanto dovrebbe; ma Nick Cave paga evidentemente lo scotto dell’essersi sgolato (con urla davvero d’annata) nei brani più tesi. E alla luce della performance complessiva è difficile rimproverarglielo.
In realtà tutto il concerto resta sospeso tra due estremi. Da una parte c’è la star che conosce la devozione dei suoi fans e, a partire dalla celebrata esibizione della scorsa estate a Glastonbury, cerca il contatto fisico con il pubblico: durante Higgs Boson Blues (altra highlight dal vivo) prende le mani di qualcuno e se le posa sul cuore mentre gli chiede “can you feel my heartbeat?”; dall’altra c’è un invasato che, quando nelle battute finali di Hiding All Away, avvisa che “there is a war coming”, sembra un predicatore carismatico molto convincente. L’abilità sta nel non propendere mai troppo in una direzione o in un’altra ed evitare così il ridicolo.

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Higgs Boson Blues, con il suo testo denso di nonsense spiritati, si presta particolarmente bene alla bisogna. Cave, presumibilmente avvertito delle possibili derive stucchevoli del teatrino, evita accuratamente le mani femminili e si posa su cuore solo quelle maschili; allo stesso tempo, pur felice della devozione del suo pubblico, non manca di tirar fuori lo spirito caustico che lo contraddistingue per prendersela con una ragazza che, in prima fila, con troppa insistenza lo riprende a distanza ravvicinata durante le sue incursioni sulla transenna: “You ain’t got a better fucking camera than that?”, chiede alla malcapitata, che impietrisce per il resto del concerto.

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La magia è davvero in questo perfetto, seppur fragile equilibrio tra teatro e realtà. Senza dimenticare, però, una band rodata alla perfezione e la coscienza, per Nick Cave, di essere entrato ormai nel pantheon dei grandi del rock. Non esita a definire “a stone-cold classic” Mermaids e, nella seconda serata, dedica una Push The Sky Away particolarmente intensa “to the great Lou Reed”. E, come dice il testo della canzone, “some people say it’s just rock and roll / ah but it gets you right down to your soul”. Un tempo è stato vero per Lou Reed, lo è certamente oggi per Nick Cave.

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