BlackSabbath13

BlackSabbath13

di Elena Colombo

I Black Sabbath ci hanno regalato pezzi che sono entrati nella storia del rock, forgiando l’immaginazione di diverse generazioni di musicisti. È quindi inevitabile caricare di aspettative questo nuovo album, il primo in studio dopo Forbidden (1995), ma soprattutto il primo con la formazione storica e Ozzy Osbourne alla voce dopo Never Say Die! (1978). Va considerata anche la suspense che ha circondato fino all’ultimo l’uscita di questo lavoro e il senso di dubbio instillato fin dai testi (“Is God really dead?” dice un verso del singolo promozionale; “Is this the end of the beginning /Or the beginning of the end?”, canta la voce sciamanica). Inoltre un’ottima strategia di marketing ha supportato il lancio della reunion: la canzone God is Dead? è stata messa in vendita in formato digitale prima di comparire nei negozi, mentre alcuni brani sono disponibili solo nell’edizione deluxe. Inoltre la opening End of the Beginning ha fatto parte della colonna sonora della tredicesima stagione di CSI – Scena del Crimine, con un collaudato meccanismo già utilizzato da band come gli Smashing Pumpkins che, dopo il loro più grande successo, vaticinavano l’inzio e la fine. Se poi a questa miscela si aggiunge la lunga gestazione del progetto (in cantiere dal 2001!), il batterista Brad Wilk – ex Rage Against the Machine e Audioslave – e il pluripremiato produttore Rick Rubin non si fa altro che gettare benzina su un ipotetico fuoco. “Ipotetico” perché alla prova dei fatti non c’è nulla che bruci nelle tracce di questo disco. I pezzi si susseguono senza differenziarsi gli uni dagli altri, in un insieme granitico che, se da un lato richiama gli stilemi classici che hanno ispirato lo stoner più cupo e granitico, restano prigionieri di se stessi, senza trovare sbocco né originalità. I critici e gli appassionati concordano nel rintracciare una sorta di auto plagio nei riff pesanti e nel doom claustrofobico e addirittura nel video ufficiale, che riprende immagini del passato miste a suggestioni cosmiche. In questo panorama desertico un po’ difficile da digerire, spicca solo il blues rallentato di Damaged Soul e Loner sembra voler dare una pennellata di colore, allontanandosi dalle legittime nostalgie. In Zeigeist il gruppo prova a riscoprire le atmosfere sognanti di Planet Caravan, ma si ha la sensazione che non sia più possibile creare la stessa psichedelia quasi trascendente. Come già aveva fatto Billy Corgan, in 13 i Black Sabbath evocano lo Spirito del Tempo, ma non sanno interpretarlo, affidandosi persino a un apparato iconografico logoro che va dal richiamo alla numerologia esoterica ai caratteri in fiamme sulla copertina, simili all’espediente del bellissimo Los Angeles degli X.

 

6/10

 

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Black Sabbath – God Is Dead?

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