James petite mort

 

James petite mort

di Antonio Vivaldi

A sette anni di distanza dal precedente, il nuovo album dei James è la riaffermazione di un modo d’essere.  Resta da vedere se i risultati commerciali di La Petite Mort saranno quelli sperati, tuttavia Tim Booth e compagni dicono qui con fierezza  che il rock passionale, melodrammatico e da grandi platee  loro lo suonavano ben prima dei Coldplay e dei Muse: l’album d’esordio Stutter è del 1986, il super-hit Sit Down del 1991. La Petite Mort è dunque un discone senza mezze misure, a tratti entusiasmante e da riascolti ripetuti, a tratti turgido e avvitato su se stesso. D’altronde, anche le premesse emotive spingevano verso tinte forti, come spiega Booth stesso: “E’ un disco nato per essere tonico, vitale. Però, mentre scrivevo i testi delle canzoni mia madre è morta e poco dopo è morta la mia migliore amica”. Il risultato è al tempo stesso tragico e spettacolare, cupo eppure con una sorprendente carica di erotismo,  goffo quando si avvicina alla dance (Curse, Curse), epico quando azzecca il ritornello capace di commuovere uno stadio intero (Frozen Britain). Verso la fine del programma il massimalismo testuale,  qualche fiato di troppo e la mano pesante del produttore Max Dingel (Killers, Muse) affaticano l’ascolto, ma si tratta di un classico esempio di prendere o lasciare: un lavoro così concepito non può esistere in forma filigranata.

7,4/10

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James – Frozen Britain

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