lapsley long way home

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L’esordio di Låpsley: Long Way Home.

Long Way Home è l’album del debutto di Holly Fletcher, in arte Låpsley, che segue a qualche mese di distanza, Understudy, l’EP che aveva fatto puntare i riflettori sulla diciannovenne britannica.  A dispetto delle apparenze, Long Way Home è un lavoro estremamente elaborato e compiuto. Artista versatile, Låpsley ci offre una musica elettronica del tutto singolare, eterea ed elaborata assieme, un elettro-pop miscelato con più mature sfumature blues, soprattutto grazie a una particolarissima voce usata in tutte le sue possibili variazioni e articolazioni.

Un disco poliforme

L’esito è un album al tempo stesso sperimentale e classico, ma di grande interesse e sicuramente estremamente gradevole all’ascolto. I testi sono piuttosto tristi e a tratti molto sentimentali. Holly ci parla delle sofferenze legate all’amore e declina questa tristezza un po’ in tutte le dodici tracce e forse è proprio questa mancanza di leggerezza l’unica vera pecca del lavoro, per il resto estremamente raffinato a livello musicale e curato, anche in fase di produzione, dall’atsita stessa.

L’iniziale Heartless è un ottimo biglietto da visita. Tastiere e sintetizzatori in primissimo piano fanno da contrappunto alla voce, mentre variazioni e accelerazioni improvvise nel ritmo conferiscono al brano (ma si può applicare il discorso all’intero album) una personalità precisa e una coerenza fra le parti che lo compongono. Il quadro si fa ancora più chiaro nella successiva Hurt Me, uno dei primi singoli estratti e presentati live assieme alla bellissima Love is Blind.

I momenti migliori per Låpsley – Long Way Home

Particolarmente interessante è poi il caso di Cliff, brano decisamente electrodance, in cui convivono le diverse personalità di questa musicista all’intersezione fra classica musica elettronica e una più matura inclinazione blues. L’esito è al tempo stesso straniante ma molto affascinante e rappresenta certamente il modo migliore per avvicinarsi all’universo sonoro della giovanissima britannica. Fra gli episodi più belli di Long Way Home segnalo senza dubbio Station, interessante soprattutto per la parte vocale. Ancora, Painter e Operator (He Doesn’t Call Me), momento dance pop dalla cadenza un po’ vintage, fine anni 70 e, in chiusura, Seven Months.

7.5/10

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Milanese trapiantata a Parigi, fra filosofia e diritto, le mie giornate sono scandite dalla musica. Amo la Francia, il mare e il jazz. I miei gruppo preferiti ? I Beatles, i Radiohead, gli Interpol e gli Strokes.

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