Lower Dens

Lower Dens

di Renato ‘Campominato’

Per niente entusiasta del primo disco dei Lower Dens uscito nel 2010, nè tanto meno di Noortropics, di due anni dopo, li avevo relegati rapidamente tra i (purtroppo) non rari, sterili e goffi tentativi di ispirarsi alla new wave. Inoltre la lunga permanenza della leader del gruppo Jana Hunter alla corte di Devendra Banhart e il suo passato art-folk mi portavano a dubitare fortemente dell’autenticità di questo progetto. Suckers Shangri-La, la traccia inizale di Lower Dens – Escape From Evil, un opaco dream pop, non ha fatto altro che consolidare l’opinione che mi ero fatto del gruppo e la tentazione di togliere l’album dal piatto è stata fortissima.

Le molte influenze di Lower Dens – Escape from Evil

(quasi) sempre succede, la pazienza premia e continuando l’ascolto già da Ondine e To Die In L.A. (malgrado quest’ultimo sia strutturato in un modo decisamente ruffiano, alla Future Islands tanto per intenderci), sono emersi egregi ed inaspettati preziosismi. Ma è nei brani seguenti che le cose sono diventate decisamente interessanti: atmosfere dark, suoni raffinati e ben amalgamati, una voce che sembra una via di mezzo tra Elizabeth Fraser, Siouxie e che in alcuni momenti ricorda molto quella del Bono Vox più intimista e meno urlatore, fanno si che Quo Vadis, la bellissima Your Heart Still Beating, Eletric Current e I Am The Earth riescano a reincarnare perfettamente il romanticismo decadente della pop wave.

Non Grata deve invece moltissimo ai Roxy Music, mentre in Company è riconoscibile l’influenza degli Ultravox (seconda fase) e dei Banshees, con un arpeggio di tastiera che sembra un omaggio a Dave Greenfield. Arrivati al termine, i colori di Societé Anonyme sono  quelli decisamente brillanti del miglior synth-pop, impreziosito da passaggi di chitarra che ricordano il Johnny Marr dei tempi d’oro e un finale di basso e batteria in puro stile 80’s quasi commovente.

7/10

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