m. ward more

 m. ward more

di Antonio Vivaldi

Una delle caratteristiche  degli ultimi vent’anni di musica è il prevalere della rappresentazione sulla vita vissuta, del sogno a occhi aperti sull’azione. Matthew Stephen Ward – in arte M. Ward – è in tal senso un personaggio emblematico. Non scende mai davvero in campo, non è di quelli che ti bacia sulle labbra anche a rischio di un schiaffo; no, lui calibra strumenti e sentimenti e il bacino te lo dà sulla guancia, magari pensando al synth che deve mettere nella seconda metà del sesto pezzo di More Rain. Evoca sentimenti carini, paesaggi ampi ma con cieli sciapi (o viceversa) ed è certo bravissimo a fondere suoni folk con atmosfere retrò (qui fa sovente capolino il doo-wop), però anche stavolta si fa dimenticare appena passa nei paraggi, tanto per fare un esempio, Marlon Williams e il suo country venato di esistenzialismo e Nina Simone. Non è un caso che Ward abbia inciso anche tre dischi (come She & Him) insieme al sex-symbol per universitari complessati Zooey Deschanel. Eppure nelle interviste è uno che dice cose interessanti, che parla di “America malata”’ E allora perché non ci rende partecipi di questa malattia, anche a rischio di essere, una volta nella vita, spiacevole o sghembo?

6/10

 

httpv://www.youtube.com/watch?v=t-xC6hOpNq4

Girl From Conejo Valley

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