Marianne Faithfull ritorna con collaboratori di spessore.
Quando qualche mese addietro Marianne Faithfull annunciò la lista dei collaboratori al suo nuovo album, tutto lasciava presagire un’ennesima e scriteriata accozzaglia di materiale spurio, offerto in omaggio a una baronessa del rock cara a tanti ma ormai a corto di idee.
Dalle prime note dell’Irish stomp di apertura si avvertono però una nuova verve – gioiosa e melancolica insieme – e il desiderio di rimettersi in gioco. Seguono due brani graffianti che la Faithfull ci consegna con urgenza: Sparrows Will Sing (di Roger Waters) e True Lies (scritta a quattro mani con Ed Harcourt.)
La voce di Marianne Faithfull
La voce – con gli anni e gli abusi sempre più rasposa – si rompe nei passaggi più intensi, e commuove. Se il registro cambia con le sonorità folk di Love More Or Less e con l’elegiaca Late Victorian Holocaust (dono di Nick Cave), il tasso emotivo resta però alto. Spiccano fra i brani successivi Falling Back (con Anna Calvi) e l’irosa Mother Wolf, il cui piglio tanto ricorda la celebre Broken English del 1979. L’album si chiude con una cover di I Get Along Without You Very Well (resa famosa, fra gli altri, da Billie Holiday e Frank Sinatra) struggente e ridotta all’essenziale, in cui la Faithfull mette a nudo tutta la sua vulnerabilità.
La produzione di Give My Love To London
Il suono ruvido e perfettamente calibrato della produzione di Rob Ellis (dei Bad Seeds) e Dimitri Tikovoi (Placebo, The Horrors) permette alla Faithfull di lanciarsi in intepretazioni rischiose come non le capitava di fare dai tempi di Strange Weather (1987). Il risultato è un album ricco, compatto e sentito, e certamente una fra le sue opere migliori.
9.1/10