di Giovanni Porta
Don’t Lose This: una preghiera e un’eredità. Con queste parole Pops Staples affidava nel 1999 alla figlia un nastro con quelle che sarebbero state le sue ultime registrazioni. La pubblicazione era stata poi rimandata per la sopravvenuta morte dell’artista (nel dicembre 2000)e le canzoni venivano suonate solo in casa, un modo davvero speciale per ricordarlo. Finalmente la figlia, Mavis, ha ripreso il nastro e con la collaborazione di Jeff Tweedy al basso, e del figlio di quest’ultimo, Spencer, alla batteria, ha deciso di rendere pubblico questo album.
Il merito di Jeff Tweedy è quello di aver lasciato le canzoni così com’erano, con il loro spirito originale, con la loro antica forza comunicativa. Nulla è eccessivo nel lavoro di rifinitura e tutto è finalizzato a mettere in evidenza la voce di Pops e i suoi riff di chitarra; e come ha sottolineato Jeff, Pops non ha bisogno di un’orchestra per condividere il proprio blues e la cadenza gospel.
Pops Staples iniziò a lavorare con le figlie negli anni ’50 e Mavis, la più giovane, ricorda come usasse riunirle in cerchio per insegnare loro i gospel e quella Will The Circle Be Unbroken che è presente anche in questo lavoro. In ogni singolo brano è impossibile non riascoltare l’eco di Muddy Waters, BB King, Howlin’ Wolf, Redd Foxx e Curtis Mayfield: blues e R&B; e la batteria priva di ogni effetto, tanto che la cassa rimbomba come in una sala vuota, è un perfetto contrappunto alla chitarra e alla voce.
Il brano di apertura, Somebody’s Watching, offre la misura di tutto il lavoro e insieme a Nobody’s Fault But Mine e Sweet Home, è probabilmente il punto più alto di un cd che invita a un altro ascolto non appena è arrivato alla fine. E la fine concide con una splendida versione di Gotta Serve Somebody di Bob Dylan (dall’album Slow Train Coming). Cosa volere di più?
8.5/10
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Pops Staples – Don’t Lose This
