field music open here recensioneMemphis Industries - 2018

Il ritorno sulle scene dei fratelli Brewis.

field music open here recensione
Memphis Industries – 2018

Sono passati solo due anni dall’ultimo disco dei Field Music, Commontime.  Il breve lasso di tempo trascorso fra quel lavoro e Open Here, album pubblicato a inizio febbraio, aiuta senza dubbio a comprendere l’evidente continuità. Ma un ascolto attento degli undici episodi che compongono Open Here, che si dispiega per una  quarantina di minuti, è indispensabile per rendersi conto anche della sua maggiore complessità. Rispetto al precedente, ci  offre una più chiara definizione delle sonorità e delle linee melodiche.

Al centro delle trame intessute dai fratelli Brewis è sempre un art pop un po’ retro ed estremamente sofisticato. Anche in questo caso, evidenti risultano gli ammicamenti ai Talking Heads, ma sono ancora presenti sonorità beatlesiane, inframmezzate da un funk alla Robert Palmer.

Possiamo ben notarlo già dalla primissima traccia dell’album, Time in Joy. Brano dalle improvvise variazioni di ritmo, in cui un groove anni 70 è arricchito da brillanti linee di basso e da un insolito flauto, a creare una struttura complessa e originale.

Paternità e Brexit

La nascita dei figli e le consequenze politiche della Brexit e dell’immancabile e traumatica elezione di Trump alle elezioni del 2016, sono i due eventi che si intrecciano e possiamo leggere in filigrana nei testi delle canzoni che compongono Open Here.  Una maggiore consapevolezza musicale si  sposa quindi a un rinnovato impegno sociale. E’ lo stesso David Brewis ha raccontarlo nel corso di una recentissima intervista concessa a The Quietus, dove spiega il senso di brani come Goodbye to the Country, No King No Princess e Count It Up. Amara riflessione di chi sa di appartenere a un ceto sociale privilegiato in un’epoca di chiusure e razzismi.

Open Here, brano fra i più beatlesiani dell’album è anche uno dei più luminosi e riusciti, grazie al suono degli archi e dal flauto di Sarah Hayes.

Nel complesso, l’album, come del resto il precedente, si lascia ascoltare con piacere. Ma, nonostante l’evoluzione che lo caratterizza e la maggiore maturità artistica ben rintracciabile in tutte e undici le tracce, non possiamo tacere i limiti di questo progetto, che dà l’impressione di essere a tratti un po’ datato e ripetitivo.

Ma, poichè, questa pare essere la scelta artistica della band, non possiamo nemmeno fargliene una colpa.

Field Music - Open Here
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Milanese trapiantata a Parigi, fra filosofia e diritto, le mie giornate sono scandite dalla musica. Amo la Francia, il mare e il jazz. I miei gruppo preferiti ? I Beatles, i Radiohead, gli Interpol e gli Strokes.

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