Recensione: Julia Holter – AviaryDomino Records - 2018

Julia Holter – Aviary: svolta sperimentale?

Recensione: Julia Holter – Aviary
Domino Records – 2018

Opera molto ambiziosa questo quinto lavoro in studio della musicista losangelina Julia Holter. Ben novanta minuti di durata in quindici composizioni, che chiamarle canzoni sarebbe forse riduttivo. Lavoro di non immediata presa che richiede attenzione e disponibilità verso una proposta musicale dove sperimentalismo e ridondante barocchismo riflettono quella che la stessa Holter ha definito la “cacofonia della mente in un mondo liquefatto”. E in questo viaggio sonoro nella complessità del contemporaneo, sempre più sfuggente e inquietante, la Holter ritorna allo sperimentalismo e alla ricerca che aveva caratterizzato i suoi primi lavori,  mettendo parzialmente da parte la sperimentazione avant-pop che era stata la cifra di Have You In My Wilderness del 2015.

Aviary, un disco ricco di rumori

Del resto già il titolo, preso da un verso della scrittrice e poetessa libanese-americana Etel Adnan (“mi sono trovata in una voliera piena di uccelli urlanti”), ci indirizza più verso un incubo hitchcockiano che verso poetici voli di pennuti. Ed in effetti il rischio di uscire frastornati dall’ascolto di Aviary è molto forte. Precipitati in un magma sonoro inquieto e tormentato, fra clangori, stridori, dissonanze, cacofonie che solo in rari momenti lasciano intravvedere una timida luce di serenità, ma tremolante e sfuggente.

 

Accade per esempio con I Shall Love 2 nella quale si raggiungono momenti di cristallina poesia. La canzone diventa un trascinante canto religioso che sembra portarci via dalle bassezze della realtà, fuori dall’incubo della voliera o nei synth spaziali di Colligere che ci proiettano in un immaginario iperboreo fra Bjork e Sigur Ros o con il lirismo rarefatto di Gardens’ Muteness per piano e voce.

Julia Holter e le diverse ispirazioni di Aviary

Scegliere e descrivere le canzoni di un disco tanto, ricco e complesso è opera quanto mai ardua. Tuutavia, esemplificativo dell’atmosfera irrequieta e e per certi versi disturbante dell’album è senz’altro l’iniziale Turn The Light On, con gli strumenti (nel disco la Holter si fa accompagnare da un quartetto classico e da fiati e cornamusa) che improvvisano una cacofonia molto rumorosa e la voce che si inerpica in uno sconcertante lirismo teso e drammatico. Non lasciano indifferenti la lunga Chaitius sorta di suite medievaleggiante dai toni molto dark, ansimante e ansiosa. Le sonorità fra free jazz e motorik kraut di Underneath the Moon. La lancinante Everuday Is an Emergency che ci proietta in un incubo urbano di ingorghi e clacson impazziti.

 

Aviary necessità di molti ascolti per essere apprezzato pienamente

Pur dopo diversi ascolti si rimane con la sensazione che ci sia dentro sempre qualcosa di più. Un che di misterioso, che attende di rivelarsi pienamente all’ascoltatore. Del resto anche i testi sono molto complessi infarciti di citazioni e riferimenti che vanno da Dante a Walter Benjamin, da Giovanna d’Arco ai trovatori medievali. Perché non vi è dubbio che Julia Holter sia un’artista vera, che ama il rischio, che non è qui per darci effimera consolazione, ma per esprimere una sua visione del mondo e della musica, senza infingimenti e facili ruffianerie, forse ostica e respingente, ma anche affascinante e poliedrica. Potremmo definire il disco una sfida contro la banalità morbosa del contemporaneo.

Julia Holter – Aviary
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Nato nel 54 a Palermo, dal 73 vive a Pisa. Ha scritto di musica e libri per la rivista online Distorsioni, dedicandosi particolarmente alla world music, dopo aver lavorato nel cinema d’essai all’Atelier di Firenze adesso insegna lettere nella scuola media.

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