Rolling Blackouts Coastal Fever - Hope Downs | RecensioneSub Pop - 2018

Rolling Blackouts Coastal Fever: al servizio delle chitarre.

Rolling Blackouts Coastal Fever - Hope Downs | Recensione
Sub Pop – 2018

“Mars Needs Guitars!” sentenziavano gli Hoodoo Gurus nel 1985. Trentatre anni dopo ad avere bisogno delle chitarre sembra essere proprio il pianeta d’origine dello strumento: la Terra. L’affermarsi di suoni che  possono fare a meno delle sei corde sta facendo sì che soprattutto le chitarre elettriche siano oggi meno di prima al centro della musica giovane. Il calo di vendite dei marchi storici ne è conferma.

L’eccellente esordio di Hope Downs

Gli Hoodoo Gurus erano australiani (di Sydney) e facevano parte di quel nucleo di meravigliose band degli antipodi  che contribuirono a rendere più interessanti rispetto all’opinione comune i vituperati anni ’80 (*). Oggi cinque giovanotti australiani (di Melbourne stavolta) hanno deciso di portare soccorso alle affaticate chitarre.  Si chiamano Rolling Blackouts Coastal Fever e il loro primo album (dopo due EP) li mostra bene attrezzati per l’ardua impresa. Potrebbe essere anche una delle migliori opere prime del 2018.

A dispetto del titolo che pare negare quanto appena detto, Hope Downs è un disco scintillante. Le canzoni sono ben scritte, le tre chitarre si intersecano fra loro a meraviglia e le voci sono perfettamente funzionali alle melodie, ovvero sobrie e inappuntabili. Anche la produzione è un manualetto di suono giusto al posto giusto. E che dire del dream-team dei referenti? Byrds, Feelies, R.E.M., Tom Petty prima maniera, Stone Roses… (**)

Chitarre come stato d’animo per i  Rolling Blackouts Coastal Fever

Ma c’è qualcosa di più interessante ancora nel suono jangle del gruppo. O in quello che loro stessi definiscono tough-pop, soft-punk. C’è un’energia positiva che fa tesoro sia delle piccole ansie di Air Conditioned Man, sia delle meditazioni urbane di Cappuccino City  sia del tono sospeso di How Long? (molto Go-Betweens, tanto per fare un altro nome). E a tutto questo presiedono le chitarre che, esagerando un po’, si propongono come stati d’animo più che strumenti.

Splendido esordio dunque per una formazione che sembra avere un unico difetto nel nome, lungo e difficile da ricordare  (***). Una ragione in più per fare musica memorabile.

(*) E’ opinione comune che per l’Australia rock gli anni ’80 siano paragonabili agli anni ’60 inglesi e statunitensi. Quanto agli Hoodoo Gurus si sono riformati nel 2009 e sono tuttora in attività.

(**) Per fare un nome affine di epoca attuale si potrebbero citare i Parquet Courts.

(***) Anche la versione abbreviata Rolling Blackouts C.F. non funziona troppo bene.

The Rolling Blackouts Coastal Fever - Hope Downs
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Nello scorso secolo e in parte di questo ha collaborato con Rockerilla, Musica!, XL e Mucchio Selvaggio. Ha tradotto per Giunti i testi di Nick Cave, Nick Drake, Tom Waits, U2 e altri. E' stato autore di monografie dedicate a Oasis, PJ Harvey e Cranberries e del volume "Folk inglese e musica celtica". In epoca più recente ha curato con John Vignola la riedizione in cd degli album di Rino Gaetano e ha scritto saggi su calcio e musica rock. E' presidente della giuria del Premio Piero Ciampi. Il resto se lo è dimenticato.

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