Suede - The Blue Hour RecensioneRhino Entertainment - 2018

Il ritorno degli Suede con The Blue Hour.

C’è stato un periodo storico, musicalmente parlando, durante il quale, in assenza di Bowie che faceva dell’altro, spuntarono tutta una serie di band che annoveravano tra i cantanti dei veri e propri papabili sostituti… Random cito: Peter Murphy, Billy McKenzie e, un po’ più avanti, Brett Anderson dei qui presenti Suede. Gli Suede con il loro primo album erano lì lì per rifondare il movimento glam, poi con il secondo troppa prosopopea e dissidi interni e con il terzo si entrò ufficialmente in una fase pop che andò progressivamente verso lo sbiancamento aurale, idee pochissime e molta attitudine male utilizzata.

Adesso esce The Blue Hour che è l’ottavo album degli Suede in 25 anni, in mezzo alcuni solisti del già citato Anderson (strictly fan base records) e un paio di ritorni di cui si son accorti in pochi. Mi accingo all’ascolto cercando di dimenticarmi tutto quello che ho appena scritto.

The Blue Hour tra chitarre e orchestra

Si parte con As One, ieratica, quasi salmodiante, sostenuta da una orchestrazione arpeggiante, molti eco e pure qualche bunnymen. Wastelands riprende le fila dell’epoca che fu. Effettivamente potrebbe provenire da un passato neanche troppo remoto, il guitar sound c’è e la voce pure; credo che dopo qualche ascolto, arrivi pure la canzone, due minuti più corta sfiorava la perfezione. Mistress (scritto tutto attaccato…) vuol essere ballad straziante  e ci si avvicina. Beyond The Outskirt ha un bell’inciso, c’è pure un po’ di Mick Ronson come ai vecchi tempi, ops, quello era Bernard Butler

Un disco ‘letterario’ per Brett Anderson e gli Suede

Chalk Circles, siamo al quinto brano e restiamo sulla salmodia. Comincio a pensare che gli Suede abbiano in mente un quadro molto chiaro. Ci troviamo probabilmente di fronte ad un concept molto doloroso, probabilmente legato anche alla nuova carriera letteraria di Brett Anderson e che prevede un setting diverso per l’ascolto e quindi la necessaria liturgia che solo su supporto di ascolto viene a mancare… Il brano infatti introduce Cold Hands, programmatica sin dal titolo.

 

Life Is Golden è un decente esercizio di stile, gli Suede che fanno gli Suede. Roadkill è un buon titolo per un esercizio recitativo sintetico su un noise disciplinato, dopodiché si riparte di Tides, arpeggio prammatico, canzone in crescendo e, forse, infinito. Don’t Be Afraid If Nobody Loves You ti ricatapulta nel dolore per sfociare in Dead Bird, voce di bambino e di adulto (…allora è vero che lo hanno scritto per immagini) che, a sua volta,  introduce All The Wild Places, molto synth, perfetta per la copertina. The Invisibles dovrebbe essere un singolo, orchestra pure qui  e un attimo di presunto sollievo che si conclude con Flytipping. Nulla da aggiungere se non che la coda finale è perfetta per un sipario che cala al termine di rappresentazione…

Disco tra il terapeutico e l’onirico, non mancherà di suscitar reazioni controverse, come è ancora giusto la musica debba fare.

Suede - The Blue Hour
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Collaboratore per testate storiche (Rockerilla, Rumore, Blow Up) è detestato dai musicisti che recensisce e dai critici che non sono d'accordo con lui e che , invece, i musicisti adorano.

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