Recensione: Vampire Weekend – Father of the BrideSony - 2019

La storia dei Vampire Weekend prima di Father of the Bride.

Recensione: Vampire Weekend – Father of the Bride
Sony – 2019

I Vampire Weekend hanno tutte le caratteristiche per rappresentare l’indie di questi ultimi due decenni. Ezra Koenig, Rostam Batmanglij, Chris Baio e Christopher Tomson si sono incontrati mentre frequentavano la Columbia University, accomunati da interessi artistici vari. Fra questi la musica, ma non certo il rock’n’roll. Partendo dalle sperimentazioni dei coevi Dirty Projectors si arrivava fino alla world music, in particolare di tradizione africana. Il singolo che li ha fatti conoscere, Cape Cod Kwassa Kwassa, la dice lunga sin dal titolo. Vero è che tutto questo miscuglio li fa sembrare a tratti non degli innovatori, quanto piuttosto dei nipotini di Paul Simon. Non che in questo ci sia nulla di male.

Father of the Bride arriva dopo un lungo silenzio dei Vampire Weekend

Dall’esordio omonimo del 2008 al 2013, i Vampire Weekend hanno pubblicato in tutto tre LP. Poi un lungo iato durante il quale se ne sono andati tutti tranne Ezra Koenig che ha mantenuto però il nome originario per pubblicare Father of the Bride. In effetti, nonostante il cambiamento di lineup radicale, il disco possiede una linea di discendenza chiara rispetto ai precedenti. Koenig duetta in diversi brani con Danielle Haim delle HAIM: in comune hanno il noto produttore Ariel Rechtshaid. Come a voler compensare il silenzio di tanti anni, Father of the Bride è composto di diciotto canzoni per un’ora di musica.

 

Il duo Koenig-Haim attacca bene con la ballata dal sapore country-folk Hold You Now. Tutte le collaborazioni fra i due hanno lo stesso tono, ma i risultati sono alterni. Il che peraltro è vero per tutto il disco. La prima parte di Father of the Bride è brillante, leggera e pressoché perfetta. Canzoni come This Life e Big Blue si fanno cantare ancora prima che siano terminate. Qui abbiamo i Vampire Weekend al loro (suo) meglio.

Una seconda parte differente (anche qualitativamente) dalla prima

Tuttavia, dopo il duetto Married In A Gold Rush comincia un lento ma progressivo declino della scrittura. Tante le idee, troppe al pari delle canzoni, ed è così che un disco cominciato in modo perfetto all’insegna della gradevolezza assoluta finisce per stancare. E in coda l’appello alla pace di Jerusalem, New York, Berlin suona vuoto, difficile dire se a ragione o perché non se ne può più. In un panorama di declino della scena indie sceglie di guardare indietro: al folk, al country, alla ballata californiana. Finché le canzoni sono ben scritte tutto fila liscio, ma quando lo sono meno si preferirebbe qualche occhiata in avanti. Tuttavia, Father of the Bride sta piacendo molto. Evidentemente Ezra Koenig e quel che resta dei Vampire Weekend hanno ritrovato il proprio pubblico (college radio).

Vampire Weekend – Father of the Bride
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Mi piace la musica senza confini di genere e ha sempre fatto parte della mia vita. La foto del profilo dice da dove sono partita e le origini non si dimenticano; oggi ascolto molto hip-hop e sono curiosa verso tutte le nuove tendenze. Condividere gli ascolti con gli altri è fondamentale: per questo ho fondato TomTomRock.

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