The Pop Group

Inatteso e felice ritorno: The Pop Group – Citizen Zombie.

Difficile pensare a una reunion dopo 35 anni per una band che aveva prodotto solo due LP e una manciata di 45 giri. Ancora più difficile se questa band è il Pop Group, tra 1977 e 1980 immagine dell’iconoclastia punk e post-punk. Come ricordava nel 1999 Nick Cave, arrivando dall’Australia a Londra in quegli anni, dopo la delusione dei primi concerti troppo melensi, era stata un’esibizione del Pop Group a infiammarlo e ispirarlo, a fargli trovare la città ch’era andato a cercare.

Perché in effetti Pop Group sembrerebbe un nome comico per una band apparentemente così poco “pop” e a tratti al limite dell’inascoltabile, senonché il loro pregio maggiore stava nel captare e rigurgitare quello che si sentiva allora: il punk, il funk, il dub tutti mescolati insieme –  grazie all’inventiva di Gareth Sager – in modo in realtà molto pop (magari art-pop); e su tutto svettava la voce di Mark Stewart, così acuta e trascinata, se non stonata, come marchio di fabbrica. Arduo insomma avere aspettative precise nei confronti di Citizen Zombie: che, diciamo subito, al confronto delle recenti uscite dei Gang Of Four, che tutto sembrano tranne che la band originaria, suona come un disco del Pop Group, a partire dalla voce di Stewart. Anzi la title track che apre il disco, con un deciso piglio dub, fa tornare subito in mente Y, che all’epoca era stato prodotto dal re del genere: Dennis Bovell. La successiva Mad Truth è invece un grande esercizio di white funk, alla maniera di She’s Beyond Good and Evil, immediatamente fruibile e persino ballabile: bellissima canzone senza ombra di dubbio.

Un disco con qualche prospettiva commerciale

Allo stesso  tempo entrambi i brani evidenziano una cosa: sarà per la produzione di Paul Eptworth, sarà per l’età matura dei componenti, il Pop Group non è mai suonato così centrato e con un appeal vagamente commerciale, come evidenzia il video un po’ furbetto della stessa Mad Truth.  L’eclettismo rimane nelle basi electro di Nations, con Stewart che declama su tastierine e batteria elettronica, o nella struttura contorta di molti brani nei quali non sono evidenti partizioni fra strofe, bridges, hooks; e persino nella ballata (la prima della loro carriera?) finale, Echelon, che al di là del titolo suona estremamente malinconico-romantica (“a broken down melody / the saddest music in the world”), sebbene sempre nel loro modo sghembo.

 

Al pari dei testi densi di slogan (“the ship of fools” e “the neon god they made” spuntano in un paio di canzoni), ch’erano però già caratteristica precipua del Pop Group di un tempo,  la musica di Citizen Kane può piacere o non piacere, forse può convincere fino a un certo punto per le ragioni già dette, però è sempre vero che in una scena muscale vivace qual è l’attuale, ma anche molto piena di band attente a collocarsi all’interno di generi precostituiti, il Pop Group nel bene e nel male continua a suonare soprattutto come se stesso. Sarà per questo che da tre giorni lo ascolto di continuo?

The Pop Group – Citizen Zombie
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Mi piace la musica senza confini di genere e ha sempre fatto parte della mia vita. La foto del profilo dice da dove sono partita e le origini non si dimenticano; oggi ascolto molto hip-hop e sono curiosa verso tutte le nuove tendenze. Condividere gli ascolti con gli altri è fondamentale: per questo ho fondato TomTomRock.

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