john Vignola altro

 

john Vignola altroAnno dopo anno cresce l’interesse mediatico per Il Record Store Day, la festa dei piccoli negozi di dischi. A John Vignola (Radio 1, Vanity Fair) chiediamo se questa manifestazione abbia una sua spinta propositiva, oppure rappresenti più che altro un’ultima spiaggia  della fonografia.

“Il Record Store Day fa pensare alla Festa della Donna o alla Festa dei Lavoratori, entrambe manifestazioni che stanno sulla difensiva. Ogni 8 marzo parliamo della violenza sulle donne, ogni primo maggio lamentiamo la costante emorragia di posti di lavoro. Con il Record Store Day difendiamo i piccoli negozi di dischi e difendiamo soprattutto il disco in vinile. Difendiamo una riserva indiana, una situazione che va preservata nella memoria; infatti in occasione della festa dei piccoli negozi di dischi si vendono soprattutto riproduzioni fedelissime di album importanti oppure di singoli irreperibili nelle loro prime stampe.

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A voler vedere le cose da un certo punto di vista, c’è un po’ di puzzo di morte, di canonizzazione. D’altro canto però possiamo parlare, storpiando Guido Gozzano, di ritorno alle piccole cose di ottimo gusto in un momento in cui siamo ben consapevoli della crisi della cultura, della mancata divulgazione delle belle cose, appunto. Non ci sono più le belle copertine, ad esempio, e le belle copertine sono quelle dei dischi in vinile. I negozi di dischi sono in difficoltà. Certo, c’è un minimo segnale di ripresa che non porterà comunque a un ritorno alla situazione di un tempo. II vinile è come un segnaposto nobilitato dal tempo, ma le cose non si ripetono mai allo stesso modo, almeno in Occidente.

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Bisogna guardare avanti e davanti a noi abbiamo la cosiddetta musica liquida. Durante il Record Store Day è giusto e bello acquistare la musica di un tempo, negli altri giorni bisogna cercare di vedere cosa c’è in arrivo.  Per usare un tono un po’ messianico, bisogna riprendere la quotidiana opera di evangelizzazione per il rock che molti hanno abbandonato da tempo. Ci sono riviste musicali che hanno avvalorato un consumo distratto, frettoloso, interessandosi più alla sociologia della musica che non alla musica stessa. Bisogna ritornare indietro andando avanti, anzi ritornare avanti. I dischi hanno bisogno di tempo. Bisogna (ri)trovare il tempo per ascoltare la musica, perché la fretta dissipa anche la creatività.”  

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