vignola

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Nella nuova puntata della sua rubrica, John Vignola (Il Mucchio, Vanity Fair, Radio2) ricorda i tempi eroicomici in cui le riviste musicali italiane qualcosa  ancora contavano.

“Per una sorta di contrappasso, ho iniziato la mia attività giornalistica con una testata che non aveva sede, che so, a Milano o a Roma, ma in un paesino poco distante da casa mia e che avevo sino ad allora bellamente ignorato: Cairo Montenotte. Si diceva nella puntata precedente che siamo tutti un po’ cialtroni nell’ambiente del giornalismo musicale e io potrei essere un buon esempio in tal senso, già fin dai primi passi della mia carriera. Lo pseudonimo che tuttora utilizzo professionalmente nacque in un afoso e lontano giorno d’estate, creato da un personaggio dalla tipica parlata valbormidese che un po’ faceva il negoziante di dischi un po’ il direttore di Rockerilla,  rivista negli anni ’80  e ’90 molto quotata come  paladina della new wave e di tante altre cose alternative (e ancora oggi  attiva). Fu proprio Beppe Badino a dirmi che occorreva, chissà perché, anglicizzare il mio nome e io da allora divenni, per quasi tutti, ‘John’ Vignola.   Come uomo analogico ancora in attesa di passaggio al digitale, scrissi perciò la recensione di una ristampa dei Litter (mi pare) pigiando sui tasti della macchina da scrivere e la inviai alla redazione tramite fax; una modalità che all’epoca era già abbastanza retrò e, ancora una volta, indice dell’amatorialità del settore. Iniziai  dunque la mia carriera di giornalista rock con un nome che non era il mio e per un mensile che (di nuovo il contrappasso) non avevo mai letto.

rockerilla

Solo qualche anno dopo approdai al Mucchio Selvaggio, ovvero  la rivista che leggevo già da ragazzino e che era per me un punto di riferimento imprescindibile. La cosa divertente è che situazioni come queste ti procurano una sensazione di perdita dell’innocenza, ti fanno sentire una sorta di profanatore.  Alcuni dei tuoi numi tutelari come lettore si trasformano da firme senza volto in  persone che cominci a conoscere  e, in certi casi, non si tratta di un bel conoscere. Che devo dire di riviste come Rockerilla, il Mucchio e anche altre nei loro anni ruggenti? Che rappresentavano bene il dilettantismo al potere, certe volte allo sbaraglio, che ha gestito le cose musicali in Italia per non poco tempo. Tanto per fare un esempio, in quell’epoca il ‘calco’ dalle riviste d’oltremanica o d’oltreoceano veniva praticato d’abitudine e con grande disinvoltura. E poiché quasi nessuno dei padri fondatori conosceva troppo bene l’inglese,  il risultato era sovente molto creativo, magari con un travisamento quasi completo dei concetti espressi dall’autore. Ancora oggi l’ex direttore del Mucchio Max Stèfani si produce in una performance memorabile quando dichiara, durante un’intervista per un network televisivo nazionale, che la sua canzone preferita è Wild Thing ‘perché significa pensare selvaggio, mostrando di ignorare che ‘thing’ significa ‘cosa’ e non ‘pensare’. Insomma, per tutta la vita Max ha creduto in una traduzione sbagliata della sua canzone-feticcio. Ritornando, per concludere, a me stesso, potrei dire che questo candore professionale mi ha permesso, vero Salieri, di sembrare ogni tanto un piccolo Mozart.

mucchio s

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