I Top Tom e i Flop Tom
Album live dell’anno:
The Rolling Stones . El Mocambo 1977
Un concerto degli April Wine a Toronto con gli sconosciuti Cockroaches come gruppo di spalla. Ma non sono i Cockroaches, sono i…
Il miglior esordio:
Pop contemporaneo e sperimentale, ricco di idee e senza paura di sbagliare, anzi azzeccandoci sempre.
La canzone dell’anno:
Arctic Monkeys – The Car
Rock, pop, canzone d’autore fusi con grande naturalezza in un brano tanto sottotraccia quanto intenso.
Il video dell’anno:
Phoenix – Alpha Zulu
Anche la storia dell’arte è pop. Vogliamo un film intero.
Con prima menzione d’onore per:
Warhaus – Open Window
E dire che fino a 2:20 c’è solo uno che mangia un piatto di cozze…
Seconda videomenzione d’onore per:
Kendrick Lamar – We Cry Together
Scene da un matrimonio, ma in chiave non troppo bergmaniana.
Il testo dell’anno:
Inghilterra di provincia, i poveri, i ricchi e quel clima tremendo. Tutto vividamente, drammaticamente raccontato.
La copertina migliore:
Rosalía – Motomami
Ironica, provocatoria, rombante e, inutile a dirsi, pop.
La copertina più brutta:
Dry Cleaning – Stumpwork
Un vecchio adagio sosteneva che gli inglesi non amano la saponetta. Oggi pare che la usino in modo curioso.
Potevano fare meglio:
L’atto d’amore di Bruce Springsteen per le proprie radici nere suona forzato e monocorde. Benjamin Clementine continua a non strutturare un indubbio talento barocco. Björk dovrebbe ricordare che in un album sarebbe carino ci fosse almeno una ‘canzone’. I Kasabian invece con le canzoni ci provano, ma falliscono miseramente (per non parlare dei suoni). Infine i 1975: piacciono a molti mentre a Tomtomtock sono sembrati frivoli, piacioni e di poca sostanza.
Potevano fare peggio:
Menzione d’onore per Peter Doherty, da anni sull’orlo dello sfacelo, ma che, grazie al compositore francese Frédéric Lo ha azzeccato un disco elegante, poetico e – a sorpresa – nitido. Anche gli Editors si fanno aiutare da qualcuno, in questo caso Blanck Mass, e danno vitalità ‘industrial’ a un suono ormai standardizzato, mentre gli Suede evitano l’effetto vintage con una piacevole sterzata quasi punk. Infine i Muse dimostrano che ci può essere acume anche nel rock da stadio.
Potevano fare meglio e/o peggio:
Per qualcuno gli Arcade Fire si sono ormai venduti al rock da classifica, per altri sono geniali proprio nella loro presunta faciloneria. Probabile abbiano tutti un po’ di ragione.