John Vignola ragiona sul biopic dedicato ai Queen.
Proviamo a uscire dalla inevitabile discussione sull’autenticità dei fatti raccontati in Bohemian Rhapsody con un lapidario “che ci importa?”. Il senso di questo ormai premiatissimo, almeno al botteghino, biopic non è certo quello di riprodurre fedelmente, e nemmeno minuziosamente, gli eventi che hanno portato i Queen a essere la band kitsch-rock più popolare del pianeta, ma piuttosto condividere una parabola artistica e umana, quella di Freddie Mercury, con senso del ritmo e un vago, ma nemmeno troppo, sapore rock’n’roll.
Freddie Mercury come apoteosi del rock esagerato
Ecco allora che il parsi Farrokh Bulsara, quattro incisivi di troppo, “bisessuale” (cit.), a suo agio solo su qualsiasi tipo di palco e davanti a un microfono, incarna perfettamente il rock che nel cuore dei ‘70 gronda eccessi (musicali e coreografici), accendendo il pubblico e innervosendo buona parte della critica musicale. Insomma, una sorta di indipendenza artistica al di là di quello che possiate pensare dei Queen.
Se li amate, troverete nelle esibizioni dal vivo (ricostruite al microscopio), nei caratteri dei quattro della band ( un ricalco incredibile degli originali), nell’esaltante partecipazione al Live Aid dell’85 un motivo di gioia pressoché puro. Se pensate che i Queen siano sopravvalutati o, peggio, un gruppo-macchietta rispetto a quelli veri, dovrete comunque riconoscere al film firmato da Bryan Singer (licenziato all’ultimo metro di pellicola) una forza espressiva e drammaturgica di alto livello. Al punto che potreste quasi pensare di avere sempre sottovalutato queste Regine della musica.
Il valore emotivo di Bohemian Rhapsody
Come canta il poeta “c’è sempre un motivo” se un’opera colpisce al cuore così tanti spettatori, e in questo caso è piuttosto lampante: in tempi di anaffettività musicale, sociale ma anche semplicemente narrativa Bohemian Rhapsody riesce a scaldare gli appassionati, non unicamente dei Queen, che non si sentono più soli. Da vedere affiancandolo a The Commitments di Alan Parker tanto per dimostrare che è la storia che conta e non i riferimenti storici minuziosi o precisi.