Bo Burnham: Inside

Bo Burnham, Inside: vi sembra il caso di scherzare in un momento come questo?

Si sentono sempre più spesso i classici commenti su come si stesse meglio prima, con la differenza che negli ultimi anni il grande nemico della società, nonché ciò che “instupidirebbe” i giovani, sembra essere l’internet. La mia generazione (ho appena compiuto 17 anni) ,quella “nativa digitale” alla quale appartengono persone che, se si ricordano ancora di quando la rete era via cavo, sono considerate quasi troppo vecchie per farne parte, è frequentemente osservata da distante ed etichettata come troppo diversa o troppo lontana dalle altre. La mia generazione sembra essere il frutto stesso della rete, e quindi senza valori, senza opinioni originali e rimbecillita dagli schermi perennemente accesi. Per come la vedo io questo ritratto non ci appartiene affatto. Nonostante non ne faccia parte, Bo Burnham, con il suo speciale Inside racchiude perfettamente (anche se a tratti in modo amaro) lo spirito autentico di questa generazione.

Un musical per Netflix

Il musical uscito su Netflix, interamente scritto, diretto, ed editato dal comico americano, è ambientato in una singola stanza e Bo è l’unico personaggio. Il modo più superficiale di inquadrare Inside è guardarlo come fosse il video-diario di una persona che, nel pieno di una pandemia globale, non potendo uscire, deve fare i conti con la sua depressione. I temi trattati da Burnham attraverso brevi canzoni dai testi paragonabili a veri e propri pugni nello stomaco, però, sono molto più di questo. Lo speciale affronta, con un umorismo che lascia parecchio l’amaro in bocca e canzoni per contro molto orecchiabili, argomenti come il capitalismo e il precedentemente accennato discorso sull’internet. Si parla di quale “giungla” sia diventato rispetto a quando era essenzialmente un paio di chatroom e blog di viaggi, e sulla generazione esposta alla rete sin dalla nascita.

Lo speciale di uno stand-up comedian depresso, insomma.

I due temi trattati in quegli 87 minuti sui quali vorrei focalizzarmi di più sono però il modo in cui Bo Burnham esprime il suo disagio e la sua depressione e le sue riflessioni sull’essere “problematico” in un momento storico durante il quale si domanda se sia il caso scherzare o meno.

 

Molti fanno dipendere la depressione di Robert (il nome per esteso dell’artista) direttamente dalla pandemia, sottointendendo che lo speciale invecchierà come il latte e banalizzando il film. Si tratta di un’opera che si presta a varie interpretazioni e secondo me è doveroso concedergli questa ricchezza dl letture. Con questo non intendo certo dire che le due cose (depressione e pandemia) non c’entrino l’una con l’altra, anzi. Sono però convinta che andando avanti con gli anni sarà sempre più interessante rivedere Inside di Bo Burnham, e trovo sostanzialmente pigro l’atteggiamento di chi banalizza i monologhi del comico legandoli unicamente al periodo che stiamo vivendo.

La musica di Bo Burnham: Inside

Dal punto di vista musicale lo speciale spazia tra diversi generi: dal predominante synth-pop caratterizzato da un voluto abuso di autotune a canzoni acustiche. Cioè che lo rende peculiare è la presenza di canzoni atipiche per un musical: al posto di ballate ci sono infatti molti pezzi brevi e dal ritmo veloce accompagnati da immagini che rendono l’ascolto a tratti sovrastimolante. Questo è chiaramente un effetto voluto da Burnham in quanto la musica in Inside è protagonista, non solo in quanto elemento comico, ma anche in quanto medium principale per fare arrivare ciò di cui parla sia con i suoni che con i testi. Trovo infatti la colonna sonora una perfetta trascrizione musicale degli argomenti trattati.

Canzoni come Look Who’s Inside Again e That Funny Feeling, canzoni che con frasi come “Should I be joking at a time like this?” rendono secondo me lo speciale una miniera di spunti di riflessione, dipingono un’immagine incredibilmente vivida e per niente banale della depressione.

 

Altre come Content o Don’t Wanna Know ci offrono una prospettiva su come possa pesare dal punto di vista mentale fare il lavoro di Bo. Fare lo stand-up comedian in questo che ormai è il 2022 non vuol dire solo fare i conti con non avere un pubblico reale con il quale interagire, ma significa anche doversi per forza rapportare con la sempre più onnipresente realtà del politicamente corretto, questione a cui il comico accenna in Problematic.

Lo speciale è quindi un mattone di più di un’ora travestito da musical?

Assolutamente no. La vena ironica a cuor leggero di Burnham fortunatamente traspare in pezzi davvero carini come Comedy, nella quale prende in giro se stesso e gli uomini come lui, cantando di quanto il mondo abbia bisogno di uomini bianchi che curino il pianeta con la loro ironia e che “facciano una differenza letterale ma metaforicamente” (“making a literal difference metaphorically”).

Come per fortuna o purtroppo accade con quasi ogni cosa che mi appassioni, anche Inside è stato sottoposto a mesi di analisi spietate da parte mia, per questo potrei fare altre mille riflessioni sul tema. Ad esempio sulla cinematografia dello speciale e su come Bo, il performer, e Robert, la persona, siano due figure chiaramente e volontariamente distinte, nel contesto del film. Detto questo, non posso non suggerire a chiunque di guardare lo speciale ed ascoltare attentamente la sua colonna sonora perché, anche se dopo un paio di visioni si continuano a trovare e ad apprezzare dettagli nuovi, vederlo anche solo una volta può davvero arricchire la propria prospettiva su diversi temi che, per altro, non sono mai stati così attuali.

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Finta bassista per The Bandwagon e insegnante di musica contemporanea per suo padre. Possiede vinili ma non giradischi ed è tristemente convinta che ascoltare musica degli anni 80/90 sia un tratto della personalità.

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