La complicata storia degli Smiths dopo gli Smiths.
Lo scorno di Morrissey
L’ultimo diniego è (per ora) dell’estate scorsa. Ad agosto Steven Morrissey ha rivelato, inviperito, sul suo sito Morrissey Central: “Nel giugno 2024 la AEG Entertainment Group ha fatto una grossa offerta per un tour mondiale degli Smiths. Morrissey ha detto di sì, Johnny Marr ha ignorato l’offerta”. Perfida la chiosa: “Morrissey farà un tour in gran parte sold out negli Stati Uniti. Marr continua ad andare in tour come special guest dei New Order”.
L’ex frontman ha poi accusato l’antico sodale d’aver bloccato l’ennesima antologia di grandi canzoni della band. Inoltre, d’essersi impossessato di tutti i diritti sui marchi e la proprietà intellettuale degli Smiths. Situazione che avrebbe astrattamente consentito al chitarrista, paventava Morrissey con un certo vittimismo catastrofista, di poter andare in tour con il nome del gruppo, ma un cantante diverso da lui.
La lealtà di Marr
Premesso che gli Smiths, con un altro cantante, sarebbero come i Doors con Ian Astbury al posto di Jim Morrison (1943-1971), il management di Marr colpiva e affondava Morrissey con una nota disarmante su Instagram: “Nel 2018, in seguito a un tentativo di terzi di usare il nome degli Smiths, e dopo aver scoperto che il marchio non era di proprietà della band, Marr contattò Morrissey, tramite i suoi rappresentanti, per proteggerlo insieme. Una mancata risposta portò Marr a registrare da solo il marchio. In seguito fu concordato con gli avvocati di Morrissey che fosse detenuto a reciproco vantaggio di entrambi. Come gesto di buona volontà, nel gennaio 2024 Marr firmò una dichiarazione di proprietà congiunta a Morrissey. La validità di questo documento richiede che Morrissey lo firmi”.
La nota precisava che Marr non aveva ignorato ma respinto l’offerta per la reunion. Infine: “Le speculazioni su Johnny Marr in tour come The Smiths con un cantante diverso non sono vere. Non ci sono piani del genere. Johnny Marr conferma anche di aver rifiutato un suggerimento per un’altra compilation dei più grandi successi da parte di Warner Music Group, date le tante già esistenti”. Allora il cantante, sempre su Morrissey Central, faceva sapere d’aver “interrotto ogni legame con la Red Light Management/Pete Galli Management”. Era la conseguenza presumibile della topica mediatica.
Alla chitarra: Nigel Farage!
Tutto era partito dalla reunion annunciata dai fratelli Gallagher per il prossimo anno. A una fan che lo aveva stuzzicato su X (“Se gli Oasis possono farlo, anche gli Smiths possono – sto delirando)”, Marr aveva risposto con una foto di Farage, deputato e fondatore di Reform UK, partito nazionalpopulista. Come a dire: se gli Smiths non ritornano, la colpa è delle simpatie politiche estremiste di Morrissey.
La storia va avanti dal 2013, quando il cantante disse di approvare Farage contro l’Europa. Tre anni dopo, definì “meraviglioso” l’esito del referendum pro Brexit. Marr gli rispose, in un’intervista a Sky News UK, che quell’idea era una delle ragioni per cui gli Smiths non sarebbero tornati insieme. Nel ‘19, replicando a un’altra ipotesi d’una reunion, il chitarrista precisò che, se mai ci fosse stata, sarebbe avvenuta con… Farage alla chitarra.
Un fatto è certo: il quartetto classico non tornerà. La morte, nel ‘23 a cinquantanove anni per un tumore al pancreas, di Andy Rourke, un amico d’infanzia di Marr che sostituì il bassista originario Dale Hibbert debuttando dal vivo con gli Smiths nel 1983, ha messo fine a ogni speranza. Inoltre, se gli Smiths, ovvero Morrissey e Marr, si riunissero, oltre al bassista avrebbero il problema del batterista.
La cosa giusta la fa Mike Joyce
Il batterista Joyce è l’unico ad aver fatto parte del gruppo, come loro, dal debutto dal vivo il 4 ottobre 1982 allo scioglimento cinque anni dopo. I rapporti con lui si deteriorano nel 1996. Joyce fa causa a Morrissey e Marr sostenendo di non aver mai accettato la quota del dieci per cento, attribuita a lui e a Rourke dal cantante, sui diritti derivanti dai dischi e dai concerti. Alla fine d’un contenzioso in cui l’ex frontman viene definito, dal giudice di primo grado, “subdolo, truculento e inaffidabile”, Joyce si vede riconosciuto un milione di sterline per il passato e, come chiedeva, un quarto dei diritti. Lo stesso non accade a Rourke. Nel 1989, in difficoltà economiche, aveva accettato ottantatremila sterline, più il dieci per cento acquisito dei diritti, per rinunciare a ogni rivendicazione.
Joyce è stato il promotore d’una raccolta fondi per realizzare a Manchester un murale in ricordo di Rourke. L’opera, che costa 15.500 sterline, sarà realizzata in questi giorni dall’artista Akse al pub The Wheatsheaf nel Northern Quarter: novembre è dedicato a sensibilizzare sul tumore al pancreas. Il murale, che sarà svelato il 21 prossimo, raffigurerà Andy ritratto dalla fotografa americana Nalinee Darmrong durante un concerto degli Smiths alla Dundee Caird Hall, in Scozia, nell’85.
I fondi raccolti oltre la somma necessaria saranno devoluti all’associazione Pancreatic Cancer Action. “Io e mia moglie Tina abbiamo pensato che sarebbe stata una grande idea onorare Andy pubblicamente. Un concerto sembrava troppo passeggero: tutti avrebbero detto quanto amavano Andy, si sarebbero ubriacati e sarebbe finita lì. Un murale è ovviamente più duraturo”, ha detto Joyce (da Rockol).
Riunire gli Smiths? Fate pure
Non si sa se Morrissey e Marr abbiano contribuito. Però il cantante, ha riportato la stampa, ha donato cinquantamila sterline per salvare il Salford Lads Club, che rischia di chiudere se non riuscirà a saldare un deficit di duecentocinquantamila. Il Salford, che è un centro giovanile di Manchester, compare in una foto interna alla copertina di The Queen is Dead.
La morte di Rourke è stata l’occasione per far rincontrare Joyce e Marr. È avvenuto a maggio durante una funzione privata in memoria del bassista. I due s’erano incrociati diverse volte alle partite del Manchester City, ma non s’erano parlati. Questa volta, ha detto Joyce al New Musical Express, “abbiamo fatto una bella chiacchierata”. Si sono rivisti, con Noel Gallagher, meno d’una settimana dopo, ancora a una partita del City. “Ci siamo detti di mantenere un atteggiamento civile e professionale negli affari. Per me va bene così”, ha dichiarato il batterista.
Joyce ha affermato più volte in passato di credere poco a una reunion degli Smiths. Oggi ribadisce: “Senza Andy qui, è impossibile avere una reunion degli Smiths”. Sullo scazzo telematico tra Morrissey e Marr, invece, e la possibilità che i due prima o poi vadano in tour con una sezione ritmica diversa da quella degli anni Ottanta, ha risposto serafico: “Così sia”.
Quella volta che gli Smiths stavano per tornare
In quasi quarant’anni ci sono stati molti tentativi, veri, presunti o soltanto immaginati, di far riunire gli Smiths. Prima dell’ostracismo di Marr al Morrissey pro Farage, il cantante aveva opposto diversi dinieghi. Nel 2006 aveva spiegato a GigWise: “Mi sento come se avessi lavorato molto duramente dopo la fine degli Smiths, molto più degli altri. Quindi perché dovrei dare loro un risalto che non hanno guadagnato? Noi non siamo amici, non ci vediamo l’un l’altro. Perché mai dovremmo essere su un palco insieme? È stato un viaggio fantastico e poi è finita. Non mi sentivo di dover finire e volevo continuare. Marr voleva farla finita. E questo è tutto”. Due anni dopo, però, Morrissey e il chitarrista, che non si vedevano da dieci anni, s’incontrano in un pub di Manchester e discutono se riformare la band.
Nel ‘16, Marr rivela al Guardian: “In quel momento ci è sembrato che, con le giuste intenzioni, si potesse effettivamente fare e che potesse persino essere grandioso. (…) Ero sinceramente contento di essere tornato in contatto con Morrissey. (…) Per quattro giorni è stata una prospettiva molto concreta. Avremmo dovuto trovare qualcuno di nuovo alla batteria, ma se gli Smiths avessero voluto riformarsi, avrebbero reso un sacco di gente molto felice, e con tutta la nostra esperienza potevamo anche essere meglio di prima”. I due concordano d’incontrarsi un’altra volta ma poi, disse Marr con amarezza “improvvisamente c’è stato il silenzio radio. La nostra comunicazione è finita e le cose sono tornate come erano e come mi aspetto che saranno sempre”.
Marr, il factotum
Definita “la band più influente di tutti i tempi” da un esagerato referendum del New Musical Express, gli Smiths sono stati indubbiamente la band più rilevante di Manchester insieme ai Joy Division e ai Van der Graaf Generator, nonché una delle più significative nella storia del pop e del rock. Opinione personale, sono stati di gran lunga il gruppo pop rock più importante della metà degli anni Ottanta (gli U2? I R.E.M.? I Cure? “Ma mi faccia il piacere!”, avrebbe detto il principe De Curtis di Bisanzio, 1898-1967).
Quello che traspare dai bene informati, per esempio Fernando Rennis con la biografia, appena pubblicata, Charming Men, Nottetempo, è che gli Smiths non sono mai stati, come tanti altri gruppi, una specie di confraternita dove un’importanza essenziale ce l’avevano i rapporti umani sia amichevoli che conflittuali. Intervistato da Raffaele Calvanese per l’Indiependente, Rennis osserva: “Si può dire che gli Smiths siano un gruppo costruito a tavolino da Marr che va letteralmente a prendere Morrissey fino a casa. Marr trova il primo manager e anche il resto della band tramite amicizie e conoscenze in comune. Marr è il factotum al punto tale che poi, quando esce dal gruppo, fa collassare la band. In questo e in tante altre cose gli Smiths sono una band atipica, basti pensare al fatto che, nonostante vivessero nella scena musicale mancuniana, erano una band che non condivideva la sala prove con nessuno, ma soprattutto un gruppo in cui, dopo aver provato, ognuno dei quattro se ne tornava a casa per conto proprio. Forse una delle poche band entrate nella storia che non condivideva la famosa pinta al bar dopo le prove”.
Una band nata per il successo
Rennis prosegue: “Ti dirò di più. A parte le primissime canzoni che Marr scrive insieme a Morrissey, poi il sistema diventa abbastanza rodato, ovvero Marr lavora per conto suo col quattro piste, scrive musica a getto continuo che poi manda a Morrissey che ci mette su le parole. Loro volevano essere i più grandi, ma volevano esserlo alle loro regole e ciò si rispecchia nella qualità e nella quantità con cui scrivono tante canzoni di successo in così pochi anni. Marr trova in Moz una persona ossessionata dal fare musica e avere successo come lui. Forse è questa la prima di molte altre ragioni per cui si sono trovati così bene insieme, anche se questa parabola, per forza di cose, non poteva durare in eterno”.
Osserva ancora Rennis nel suo libro: “Scavare nella storia degli Smiths vuol dire sporcarsi le mani con il quotidiano britannico degli anni Ottanta, rinvenendo tracce del passato musicale e sociale del Paese”. A differenza di altri gruppi capaci di attraversare le epoche piegandole al valore della loro musica, gli Smiths si collocano in un’epoca definita: gli anni del conservatorismo e del neoliberismo di Margaret Thatcher, avversata da Morrissey, al pari della famiglia reale, fino a una canzone, nel suo primo album solista, dal titolo feroce: Margaret on the Guillotine.
La rivincita della gente comune
Nick Mason, batterista dei Pink Floyd bravissimo a scrivere, ha tratteggiato quel tempo nella sua biografia dei Floyd, Inside Out: “Quelli che avevano fatto tappezzeria ed erano stati tagliati fuori dal divertimento degli anni Sessanta, fecero ritorno negli anni Ottanta, ottenendo il controllo del Paese e distruggendo il servizio sanitario, l’istruzione, le biblioteche e qualsiasi istituzione culturale su cui riuscirono a mettere le mani”. Tra il 1983 e l’87, attraverso quattro album in studio e tre antologici, essenziali perché riunivano i tanti eccellenti singoli non ripresi altrimenti su long-playing, gli Smiths rappresentano, fin dal nome che in italiano potrebbe essere “i Bianchi”, inteso come cognome largamente diffuso, la riscossa della gente comune attraverso la disillusione beffarda e cinica contro gli aspetti repressivi della realtà di allora.
“L’Inghilterra mi appartiene e mi deve dar da vivere. /Chiedetemi perché e vi sputerò in un occhio” canta Morrissey, con l’irresistibile voce nasale pronta al sardonico, caratteristico similyodel, nel primo album. La grafica delle copertine, ideata dallo stesso frontman con immagini spesso in bicromia o in bianco e nero di personaggi, famosi e non, in genere degli anni Sessanta, sottintende il rimpianto e l’aspirazione per un’Inghilterra che aveva ancora un’identità e un futuro. La presenza sul palco del cantante “drammaticamente, soprannaturalmente, non sessuale” per sua ammissione, il fisico allampanato dai movimenti goffi e allusivi roteando un mazzo di gladioli a sottintendere gentilezza, gli occhiali da intellettuale e il taglio dei capelli molto anni Ottanta, il resto del gruppo vestito in maniera anonima come si conviene chi è stato teenager fino a qualche mese prima, comunicavano la volontà degli Smiths d’identificarsi con il loro pubblico di estrazione popolare.
I ragazzi di vent’anni adesso ne hanno sessanta
Tutto questo apparteneva a ragazzi che, quando hanno iniziato, avevano diciannove anni Rourke, venti Marr e Joyce, ventiquattro Morrissey: non può essere riproposto tale e quale. A che o a chi serve, allora, una reunion? Sotto quale forma e con quali canzoni?
Sia Morrissey che Marr, per ovvie ragioni auto promozionali, cantano dal vivo le canzoni più celebri degli Smiths. Sono però quelle successive allo scioglimento, fino alle ultime, a dirci che il primo resterà per sempre il cantante di quel gruppo per quanti dischi, buoni e cattivi, riuscirà a incidere da solista, e per quanto eccentriche saranno le sue esternazioni più o meno brillanti, più o meno urticanti. Stesso discorso per Marr: sarà sempre il chitarrista degli Smiths per quanto si sforzi oggi di cantare quelle canzoni che appartengono più a lui che a Morrissey, con una voce però che non è quella che restituirebbe la forma e il senso all’immaginario condiviso.
Prendiamo Hi Hello dal suo album solista Call the Comet, 2018. Fin dall’intro tutti si aspettano il vocione piacevolmente ingombrante, declamatorio di Morrissey. Arriva invece la vocetta di Marr senza infamia e senza lode, ma soprattutto a rammentarci quello che poteva essere e che non è. La cosa buona e giusta sarebbe quindi lasciare gli Smiths al 1987. Morrissey, sessantacinque anni, e Marr, sessantuno, sono troppo vecchi per rifare l’antico gruppo riprendendo il filo da dove è stato spezzato. A meno che…
C’è una luce che non si spegne mai
La riflessione che il secondo rilasciò al Guardian otto anni fa sulla mancata reunion del 2008 (“Con tutta la nostra esperienza potevamo anche essere meglio di prima”) lascia aperto uno spiraglio a quelli che potrebbero divenire, Farage o non Farage, gli Smiths alla soglia della terza età. Si tratta di rifarsi ai momenti meno tipici del loro sound senza nostalgia. How Soon is Now?, ad esempio, singolo del 1984 così possente, ipnotico e affilato da risultare, contro ogni previsione e aspettativa dei discografici, una delle loro canzoni più conosciute e apprezzate. O l’ultimo disco Strangeways, Here We Come, ‘87, che tutti e quattro ritennero il loro album preferito: “Io e Marr lo diciamo spesso. Allo stesso tempo. Nel nostro sonno. Ma in letti diversi” dichiarò Morrissey a Q Magazine nel 1994.
Lì le chitarre tintinnanti lasciano spazio a nuovi strumenti come il pianoforte (suonato dal cantante), gli archi, il sax, la drum machine. Un gruppo dal suono meno caratteristico e più eclettico richiederebbe però anche un Morrissey capace di ridiventare meno noiosamente autoreferenziale e più in grado di sintonizzarsi, come una volta, sugli umori della società britannica e non. Il talento, si sa, non gli manca. Quel che andrebbe rimodulato è il valore intrinseco del messaggio, liberandolo da quegli atteggiamenti indisponenti che da anni si manifestano talvolta con banale petulanza per attingere a quell’equilibrato sarcasmo che, quando si è giovani, viene dai sentimenti di solitudine e di ribellione, e che più avanti diventa una risorsa dell’esperienza. Ci riuscirebbe? Nel suo caso, vale sempre che “Keats e Yeats sono dalla tua parte /ma Wilde è dalla mia” (Cemetry Gates).
Playlist essenziale
Ecco dieci canzoni in sequenza che, soprattutto ai più giovani, possono fornire il senso del percorso e del valore di questo grande gruppo di ventenni di quarant’anni fa. Buon ascolto.
Hand in Glove, 1983.
This Charming Man, 1983.
Heaven Knows I’m Miserable Now, 1984.
How Soon Is Now?, 1984.
Barbarism Begins at Home, 1985.
That Joke Isn’t Funny Anymore, 1985.
There Is a Light that Never Goes Out, 1986.
Bigmouth Strikes Again, 1986.
The Death of a Disco Dancer, 1987.
Last Night I Dreamt that Somebody Loved Me, 1987.