I Ain’t No Miracle Worker dei Brogues diventa Un Ragazzo Di Strada dei Corvi.
Nel mare poco nostrum delle cover italiane anni ‘60 poche sono le isole dove valesse la pena gettare l’ancora (mentre da molte veniva voglia di stare alla larga). Poi ce n’era una davvero magnifica anche se aspra e selvaggia. Fuor di banale metafora Un Ragazzo di Strada dei Corvi può essere considerata la miglior cover italiana del periodo della colonizzazione musicale angloamericana. Ed è persino migliore del peraltro pregevolissimo originale: I Ain’t No Miracle Worker dei Brogues.
L’originale: The Brogues – I Ain’t No Miracle Worker, ovvero un primo tipo di rancore
I Brogues, provenienti da Merced, California, sono fra le tante meteore della ribollente scena rock che, a metà anni ‘60, innova la musica (e la cultura) statunitense con una miscela di british invasion, r&b, capelli a caschetto, primi accenni di psichedelia e, soprattutto, attitudine garage. Il quintetto dura lo spazio di un anno e di due singoli prima che Gary Duncan e Greg Elmore vadano a conoscere maggior gloria westcoastiana con gli acidissimi Quicksilver Messenger Service.
Il loro pezzettino d d’immortalità i Brogues se lo guadagnano grazie alla dura e distorta I Ain’t No Miracle Worker, firmata da Nancie Mantz e Annette Tucker, responsabili anche di un altro classico dell’epoca quale I Had Too Much To Dream (Last Night) degli Electric Prunes. Il singolo esce nel dicembre 1965.
Le due autrici percepiscono – o sfruttano, volendo essere cinici – il crescente malessere giovanile post-mito kennediano affidando ai Brogues un messaggio poco in sintonia con le “magnifiche sorti e progressive” hippies. Qui abbiamo invece un protagonista a cui poco importa del sentire collettivo, un giovanotto precocemente disilluso e anche molto irritato dai sogni di gloria della fidanzata: poveri siamo e poveri rimarremo. Ne viene fuori il ritratto di un mondo suburbano che anticipa, con meno epos, la grande galleria dei perdenti springsteeniani. E non è difficile immaginare il nostro ragazzo incapace di fare miracoli in procinto di partire per le giungle del Vietnam al pari di tanti suoi coetanei.
Ecco la traduzione italiana del testo (l’originale è riportato a fine articolo):
Non chiedermi di muovere una montagna
Non chiedermi di nuotare nel mare
Non pensare che io sia una fortezza inespugnabile
Non affidarti troppo a me
Quando guardi al futuro
Non costruire i tuoi sogni troppo in alto
Ti prego di ricordare
Che sono un tipo ordinario
Io non faccio miracoli
Ma faccio del mio meglio
Signore, io non faccio miracoli
L’uomo dei miracoli non sono io
E non ho un patrimonio
Lo sai che mi sudo ogni centesimo
Ma vivo cercando sempre
Quel colpo di fortuna
Ci provo ogni giorno
A fare del mio meglio per te
E ogni tentativo pare non basti, ragazza
Dimmi cosa dovrei fare secondo te?
Io non faccio miracoli
Ma faccio del mio meglio
Signore, io non faccio miracoli
L’uomo dei miracoli non sono io
Chiedimi di essere gentile
Chiedimi di essere sincero
Chiedimi tutto l’amore che ho per te
E, ragazza, io te lo darò
Ma, ragazza, non ti posso offrire
Una storia da romanzo rosa
Perché, ragazza, tu cerchi proprio questo
E io ti dico che non abbiamo nessuna possibilità
Io non faccio miracoli
Ma faccio del mio meglio
Signore, io non faccio miracoli
L’uomo dei miracoli non sono io
La cover: I Corvi – Un ragazzo di strada, ovvero un secondo tipo di rancore
Come i loro coetanei americani, anche i ragazzi italiani cresciuti con il boom economico decidono di vivere una vita con gusti meno melodici rispetto ai loro genitori. I Beatles, i capelli lunghi e gli atteggiamenti più o meni ribelli (almeno nelle apparenze) sono arrivati anche da noi e il movimento musicale giovanista prende il nome di ‘beat’. Da questo punto di vista il 1966 è un anno entusiasmante e quasi antagonista. Il girone C del Cantagiro (quello dedicato ai “complessi”) propone tre titoli esemplari: Che Colpa Abbiamo Noi dei Rokes, Come Potete Giudicar dei Nomadi e l’oggetto di questo articolo, Un ragazzo di strada dei Corvi. I primi due s’inseriscono nel filone classico della protesta, il terzo attua una protesta di ben altro tipo.
Nati nel 1965 a Parma, i Corvi trovano presto un contratto discografico grazie ad Alfredo Rossi della Ariston che resta colpito dalla loro grinta strumentale e dalla voce espressiva di Angelo Ravasini. Per non parlare dell’immagine sul palco: mantelline nere e un vero corvo sistemato sulla paletta del basso di italo ‘Gimmi’ Ferrari. Come primo singolo Rossi affida loro I Ain’t No Miracle Worker/ Un ragazzo di strada, con testo firmato da Nisa, ovvero Nicola Salerno ovvero il paroliere di Caravan Petrol di Renato Carosone, ma anche di Non Ho L’età di Gigliola Cinquetti. Va precisato che in un’intervista Ravasini si ascriverà il merito della stesura del testo insieme a Franco Califano, pure lui in quel periodo alla Ariston.
Comunque sia, il 45 giri va assai bene commercialmente e, ascoltato oggi fa ancora un figurone. Dal punto di vista strumentale i Corvi si allontanano dai Brogues (e non solo per l’assenza dell’organo Farfisa) con le chitarre che iniziano quasi psichedeliche per esplodere cattivissime dopo ogni ritornello. Ma sono le parole e il cantato di Ravasini a far passare alla storia la canzone.
Io sono quel che sono
Non faccio la vita che fai
Io vivo ai margini della città
Non vivo come te
Io sono un poco di buono
Lasciami in pace perché
Sono un ragazzo di strada
E tu ti prendi gioco di me
Tu sei di un altro mondo
Hai tutto quello che vuoi
Conosco quel che vale
Una ragazza come te
Io sono un poco di buono
Lasciami in pace perché
Sono un ragazzo di strada
E tu ti prendi gioco di me
Tu sei di un altro mondo
Hai tutto quello che vuoi
Conosco quel che vale
Una ragazza come te
Io sono un poco di buono
Lasciami in pace perché
Sono un ragazzo di strada
E tu ti prendi gioco di me
È evidente che il testo originale (o quantomeno il titolo) è stato preso come spunto narrativo, dopodiché ci sono due differenze decisive. Il protagonista italiano abbandona la rassegnazione della sua controparte d’oltreoceano, mentre il tu femminile a cui si rivolge lascia l’anonimato per sagomarsi come ragazza ricca incapricciatasi del ragazzo di strada nonché “poco di buono” nonché abitante in un triste quartiere periferico. Il ragazzo americano prova gestire una relazione nata perdente, quello italiano nemmeno la inizia. È rancoroso il nostro, ma va anche fiero della sua diversità rispetto al mondo. Lo possiamo immaginare come affine ai rockers britannici tutti motociclette e giubbotti di pelle protagonisti dei celebri tafferugli a colpi di sedie a sdraio del maggio 1964 a Brighton (*). Oppure possiamo immaginarlo che si avvia in tuta blu ai cancelli della Fiat.
L’elemento interessante è l’equidistanza – non si sa se casuale o voluta – del pezzo sia dal sentimentalismo sanremese sia dallo spirito pacifista/giovanilista che troverà il suo apice l’anno successivo con Mettete dei Fiori nei Vostri Cannoni dei Giganti e Dio È Morto dei Nomadi. C’è da immaginare che la critica marxista dell’epoca – se mai se ne è occupata – abbia trovato queste parole controrivoluzionarie nel loro evocare l’ineguaglianza sociale senza però passare alla conflittualità politica. In realtà, come per I Ain’t No Miracle Worker, anche qui c’è un’anticipazione di cose ancora ignote, qualcosa di simile alla rabbia no future dei punk che arriverà una decina d’anni dopo.
Mentre l’originale ha tre strofe, qui ce ne sono solo due senza alcuna evoluzione narrativa ma efficacissime nel riprendere un tema millenario come quello dell’amore reso difficile, quando non tragico, dalla differenza sociale. Nel nostro caso non ci sono struggimenti da trovatore provenzale o da romantico russo visto che la storia nemmeno inizia in un tripudio di viril fierezza proletaria. Possibili paragoni ne vengono in mente pochi, forse solo Common People dei Pulp 0ppure Eskimo di Guccini, dove l’amore comunque nasce.
Angelo Ravasini non canta la canzone, la vive ed è bello immaginare che l’abbia registrata ‘buona la prima’ visto che pare davvero lasciarsi andare all’ispirazione del momento: parte relativamente misurato (incluso l’accento finto inglese) per poi caricarsi con ‘io sono un poco di buono’ e trasfigurarsi del tutto al momento di dichiararsi ragazzo di strada. Come a dire che cambia tre voci in appena due minuti e 21 secondi.
Un ragazzo di strada è il pezzo con cui tutti ricordano I Corvi, che conoscono buoni riscontri di vendita anche con il primo album, ovviamente intitolato Un Ragazzo Di Strada (1966), e con il 45 giri Sospesa Ad Un Filo (1967), cover della già citata I Had Too Much To Dream (Last Night) (**). Poi le cose si fanno meno felici, complice anche l’abbandono dell’etichetta Ariston per un dissidio con Alfredo Rossi. Ci sono poi cambi di formazione, scissioni e la scomparsa di tre dei quattro componenti originali. A portare avanti il gruppo fino a oggi è il batterista Claudio Benassi. Intanto il loro cavallo di battaglia conosce svariate reinterpretazioni, le più note ad opera di Pooh e Ivan Cattaneo, anche se il più bravo a coglierne lo spirito è Tonino Carotone.
Sono passati quasi 60 anni e il ragazzo di strada ormai è un anziano signore che chissà se ricorda ancora quella donna ricca che provò a sedurlo e a cui lui disse NOOOOO.
Il testo inglese di I Ain’t No Miracle Worker:
Don’t ask me to move a mountain
Don’t ask me to swim the sea
Don’t think that I am a tower of strength
Don’t lean too much on me
When looking to the future
Don’t build your dreams too high
I beg you to remember
I’m just an ordinary guy
I ain’t no miracle worker
I do the best that I can
Oh lord, I ain’t no miracle worker
I ain’t no miracle man
And I don’t have a fortune
You know I sweat for each dime I make
But I’m always living now just looking
To get that lucky break
Every day I keep on trying
To do my best for you
And every trying just ain’t nothing
Well, tell me what would you have me do?
I ain’t no miracle worker
I do the best that I can
I ain’t no miracle worker
Oh Lord, I ain’t no miracle man
Ask me to be tender
Ask me to be true
Ask me for all the love I have
And girl, I’ll give it all to you
But girl, I just can’t offer
No storybook romance
Girl, that’s what you’re looking for, baby
I tell you, we just don’t have a chance
I ain’t no miracle worker
I do the best that I can
I ain’t no miracle worker
Oh Lord, I ain’t no miracle man
(*) L’eco dell’evento era arrivata anche nel nostro paese visto che nel 1965 ispirò la melodrammatica Uno dei Mods di Ricky Shayne e l’anno dopo Atto di Forza n. 10 de I Ragazzi del Sole.
(**) Anche in questo caso il testo viene pubblicato con la firma di Nisa.