A 60 anni dai concerti italiani dei Beatles una piccola storia del meno quotato (ma più amato?) tra i Fab Four.
Perché parlare di Ringo Starr? È il meno importante dei Beatles, l’ultimo a entrare in formazione. Anche il più basso di statura, il più bruttino e il più ‘scemo’. Le composizioni solo sue sono rarissime: Don’t Pass Me By (su The Beatles) e Octopus Garden (su Abbey Road). È voce solista in Act Naturally, With a Little Help from My Friends, Yellow Submarine e poche altre. Una vulgata lo vuole batterista scarso. Eppure Ringo piace, Ringo è amato.
Voler bene a Ringo: due motivazioni personali
C’è un bambino di nove o forse dieci anni che, insieme al papà, prende un treno verso le spiagge del Levante ligure, un treno pieno di giovani (decenni dopo li chiameranno boomers). Su quel treno ci sono quattro ragazzi che parlano per tutto il viaggio dei Beatles e che, nella mia ricostruzione fantastica, hanno un aspetto beatlesiano. Li sento menzionare più volte quel nome che suona magico: “Ringo”.
Dunque per me i Beatles iniziano con Ringo.
Una quarantina d’anni dopo ecco una scena surreale. John Vignola – storica voce di Rai Radio Uno nonché collaboratore di Tomtomrock – mi telefona da Londra. Proprio come Ringo in A Hard Day’s Night si è perso nella tentacolare metropoli, il navigatore non gli funziona ed è in cerca della sede della Apple. “Sai, devo intervistare Ringo”. E così da 1360 chilometri di distanza lo guido verso Ringo (“allora, se sei in quella strada fra 100 metri devi girare a destra…”) . Con parecchia invidia.
Gli altri Beatles hanno nome e cognome, lui è RINGO.
Breve biografia fino al 1962
Richard Starkey nasce a Liverpool 7 luglio 1940, il più anziano dei futuri Fab Four e probabilmente quello con le origini economicamente più modeste. Cresce in un quartiere operaio degradato (Dingle) e da bambino ha seri problemi di salute. (Forse per reazione a queste difficoltà svilupperà in seguito la passione per uno stile di vita che qualcuno definirebbe cafonal.)
Impara a suonare le percussioni nel sanatorio dove viene ricoverato per alcuni mesi. Il suo primo gruppo (1957) è l’Eddie Clayton Skiffle Group . Forse in qualche ccasione incrocia un altro gruppo skiffle della città, i Quarry Men di John Lennon, Paul McCartney e George Harrison.
Nel marzo 1959 entra a far parte di Rory Storm & the Hurricanes. In questo periodo nasce il nome d’arte Ringo ispirato agli anelli che già allora amava indossare in scena. Il suo innato senso della spettacolarità gli fa cambiare anche il cognome e così Starkey diventa Starr. I suoi assoli vengono annunciati come “And now a Starr moment!”.

Il 14 agosto 1962, con una telefonata, John Lennon lo invita a entrare nei Beatles – da lui frequentati a Liverpool, ma anche a Berlino – in sostituzione di Pete Best. Lascia Rory Storm con tre giorni di preavviso e il 18 agosto 1962, alla Hulme Hall di Port Sunlight, suona per la prima volta come batterista dei Beatles.
Come dice lo studioso beatlesiano Mark Lewisohn:
Fu quella sera che nacquero i Fab Four

I Favolosi Quattro
Con Ringo c’è la ‘quadratura del quadrato’, con lui si realizza l’impareggiabile Tutti Per Uno che saranno i Beatles fino al 1967. Con lui nasce quel suono arioso, spensierato, vitale, urgente che rende i Beatles unici. Si può dire (e lo dice Paul McCartney) che Ringo sia il collante del quartetto, anche perché è quello che ha meno problemi di ego. O, se li ha, li risolve con gli anelli.
In breve tempo ognuno dei Favolosi assume un ruolo ben definito: Paul il romantico, John lo psichedelico (inzialmente anche il provocatore e più avanti il politicizzato), George il mistico, Ringo il “fool”. Tuttavia si tratta di un fool che non è assolutamente uno stupido, a dispetto delle battute tremende, delle buffonate o della finta campagna presidenziale “Ringo for President” (con tanto di singolo omonimo degli The Young World Singers).
Ringo è il tipo frivolo che durante tutti i concerti dei Beatles porta un anello d’oro con zaffiro rettangolare, che durante la prima conferenza stampa negli Stati Uniti imita grottescamente i movimenti pelvici di Elvis Presley. Ma è anche colui che vede le cose in modo diverso, con gli occhi di un bambino. E si sa che i bambini sono a volte più saggi degli adulti. Si sa che John Lennon definiva”ringo-isms” le trovate geniali del compagno, ad esempio descrivere come “a hard day’s night” una faticosa giornata di riprese cinematografiche. Quella frase piacque a tutti a tal punto da da diventare il titolo del primo film con i Beatles protagonisti (in origine avrebbe dovuto chiamarsi Beatlemania)
Ecco cosa scrive un giovane Gianni Minà che segue il gruppo durante tutta la breve tournée italiana del giugno 1965:
Quattro personalità di prim’ordine con Paul e John trascinatori strepitosi, Ringo la simpatia che sprizza da tutti i pori (pure quelli nascosti sotto i capelli) e George, il quarto che ci vuole.
Ringo faccia da cinema
Dei quattro Ringo è quello che ha più la ‘faccia da cinema’ (un brutto alla Belmondo?). Non a caso è il vero protagonista di entrambi i film diretti da Richard Lester.

In A Hard Day’s Night (1964) è lui al centro di diversi momenti memorabili quando vaga da solo (e un po’ alticcio, dicono i testimoni) per le strade di Londra. In Help! (1965), dove la storia ruota a un suo enorme anello rosso, Ringo fa la parte dell’ingenuo (memorabile il momenti in cui litiga con un pupazzo), mentre gli altri tre sono i furbi-cinici che gli vogliono tagliare il dito per asportare l’anello e togliersi dai guai. Gliene capitano di tutti i colori, ma ha sempre l’aplomb di chi è lì per sbaglio.
Il celebre viaggio in India
La modalità di simpatico naturale, di amico di tutti, di ultimo ma non meno importante viene colta persino dal famigerato Maharishi Mahesh Yogi durante il viaggio in India del Beatles nell’aprile 1968:
Quando arriva Ringo la tempesta gli apre la via… Nel sereno arriva Ringo” (1)
Lì il fool si dimostra il più saggio del gruppo (allargato ad amici e fan) nel momento in cui decide di restare soltanto 11 giorni nell’ashram:
Ringo e Paul non parlavano granché della meditazione. Sì, avevano ottenuto qualche risultato. No, non lo facevano controvoglia, ma dal loro atteggiamento si capiva che la faccenda riguardava soprattutto George, e se lui voleva andare in India, ok, bene, andiamo tutti in India.Ringo sentiva la mancanza dei figli e dei suoi nove gatti e sosteneva che avrebbe potuto mettersi altrettanto bene nella posizione del loto a Liverpool. (2)

Sul palco tre più uno
È curioso come Ringo il compagnone sia il più solo dei Fab al momento di salire sul palco. Lo si capisce bene nel film Eight Days A Week di Ron Howard (2016) nelle scene girate durante al Shea Stadium di New York. Gli altri sono uno accanto all’altro qualche metro davanti a lui che non riesce a sentirli per il terrificante frastuono proveniente dal pubblico e per la qualità scadente degli impianti. A un certo punto, gli si legge il labiale “I can’t hear you” rivolto a Lennon. Chissà se fu contento della decisione, nel 1966, di chiudere con le tournée. Magari si divertiva lo stesso.
L’inizio della crisi
Strano a dirsi, proprio Ringo “the glue” sancisce la fine del ‘tutti per uno’ quando abbandona le registrazioni del doppio bianco il 22 agosto 1968 per andare in Sardegna. Ancora Mark Lewinsohn:
Disse che non riusciva più a sopportarli: non intendeva ritornare, ma due settimane di lontananza bastarono a mitigare il suo dispiacere e a fargli cambiare idea. L’abbandono del posato, accomodante, fidato Ringo fu una spia inequivocabile di quanto fossero degenerate le cose. La notizia della sua partenza venne tenuta nascosta.
Al ritorno in studio trova la sua batteria infiocchettata dagli altri tre.

La fine dei Beatles
Pur mantenendo – al contrario di un nervosissimo George Harrison – la sua aria imperturbabile, Ringo non vive bene l’atmosfera tesa dell’ultimo periodo Beatles e la sempre più insanabile frattura fra Paul McCartney da una parte e John Lennon-Yoko Ono dall’altra. Ecco perché, nonostante l’affetto che nutre per i compagni, è il più accanito oppositore al ‘concerto sul tetto’ del 30 gennaio 1969. Forse ha capito prima degli altri che è tutto molto triste, che non c’è più speranza.
Le reunion mai avvenute e quella solo immaginata
Gli anni ‘70 sono caratterizzati da occasionali voci di riformazione dei Beatles ed è difficile dire se Ringo fosse favorevole all’idea, anche se c’è da immaginare di sì. A questo proposito ecco una una curiosità. La “Novella” di John Weeks: “Un viaggio dei Beatles né magico né misterioso”, pubblicato in Italia dalla rivista Popster sul n. 20 del dicembre 1978 (3). La vicenda si svolge nel 1976. I quattro Beatles vengono rapiti, portati a New Orleans e chiusi in una stanza dove un uomo mascherato li minaccia:
Domani sera alle 8 vi esibirete al Superdome. Il concerto dovrà consistere in non meno di 15 canzoni e dovrà durare non meno di un’ora. Abbiamo le voste famiglie.
Nella storia Ringo è il primo ad accettare di fare le prove ed e l’unico a salutare il pubblico e a sorridere “scioccamente” quando i quattro entrano in scena davanti a 80.000 spettatori. Quasi con attegiamento di sfida i Beatles iniziano con le canzoni meno note dell’album Let It Be, poi si scaldano, si emozionano, ritrovano l’antica sintonia e suonano ebbri di felicità e tritovatata coesione felici tutti i loro classici davanti a una folla impazzita. Quando tornano nei camerini John, Paul e George trovano tre buste a loro nome con dentro un assegno di 40.000 dollari e un messaggio:
Cari Paul, John e George, spero che non mi odierete. Volevo farlo e non potevo pensare di farlo in altra maniera. Le pistole non sono mai state caricate. Quegli assassini erano solo degli imitatori che ho assunto da un’agenzia e non volevano farvi del male. Mi è costato la mia parte e in più ho dovuto pagare gli imitatori, gli aerei, la stanza, lo stadio e tutto quanto, così sapete che non l’ho fatto per il denaro. L’ho fatto per amore. Sapete, ho sempre amato i Beatles. Con amore il vostro vecchio amico Richard L. Starkey”
Tutti e tre si fissarono, poi dissero insieme: “Ringo!”
Morale: Ringo era il più beatlesiano fra tutti i Beatles.

Tecnica strumentale, contributi vocali e compositivi
Come si diceva, esiste una consolidata opinione secondo cui Ringo Starr è uno strumentista modesto. Forse scontiamo ancora la convinzione anni ’70 secondo cui i veri batteristi sono quelli possenti e dagli assoli infiniti alla John Bonham o Ginger Baker. Per fortuna molti la pensano diversamente. Ringo figura al quattordicesimo posto nella lista dei migliori batteristi di tutti i tempi secondo Rolling Stone. Lo citano come loro influenza Jim Keltner, Phil Collins, Dave Grohl, Stewart Copeland e persino Nicko MacBrain degli Iron Maiden. In Italia ne ha tessuto le lodi Antonio Bacciocchi dei Not Moving.
Dopo una prima, incerta session di studio (il produttore George Martin lo sostituisce con un il turnista Andy White), si rivelerà sempre preciso e affidabile e i suoi errori saranno rarissimi. E avrà sempre quel mezzo sorriso sulle labbra.
Un altro celebre batterista, Jim Keltner, racconta come in un’occasione Ringo gli abbia detto “I always play to the vocal” (4) ed è forse questo il suo lascito strumentale principale. Ad esempio, in Ticket To Ride crea una sorta di loop senza il quale il pezzo non sarebbe lo stesso (anche solo con la batteria si canta senza fatica la strofa). E non mancano i momenti di autentica bravura. In Tomorrow Never Knows riprende quell’idea del loop, dimezzandone il tempo. In She Said, She Said, per stare dentro alle intenzioni psichedeliche di Lennon, passa – cosa non facile – da tempi dispari a tempi lineari. In Yer Blues fa transitare senza fatica il pezzo dal blues al rock. E si potrebbe andare avanti a lungo.
La carriera dopo i Beatles
Ringo Starr è il primo dei Beatles a pubblicare un album solista ancora prima dello scioglimento ufficiale. Si intitola Sentimental Journey e contiene classici della canzone americana arrangiati da Quincy Jones e Richard Perry. Fin da subito si manifesta la tendenza a circondarsi di grandi nomi, forse per mascherare una voce intonata ma non originale e una certa discontinuità compositiva.
I primi singoli a suo nome suonano molto americani e hanno gran successo: It Don’t Come Easy, Back Off Boogaloo (dal divertente video), Photograph, You’re Sixteen entrano nel Top 10 statunitensi e gli ultimi due salgono addirittura al primo posto.
L’album del 1973, Ringo, vende benissimo. A dimostrazione della sua capacità di aggregatore nel disco sono presenti, mai insieme ovviamente, come strumentisti e co-autori i tre ex compagni. Poi c’è la passione per il country , già evidenziata in Act Naturally con i Beatles, ed espicitata nell’album Beacoups Of Blues (1970) registrato, inutile a dirsi, con i migliori sessionmen di Nashville.
In veste, a sua volta, di musicista di studio suona nei dischi degli altri Beatles e di molti artisti noti fra cui Peter Frampton, Bob Dylan, Paul Simon. Carly Simon. È presente in un pezzo delle London Sessions di Howlin’ Wolf. Tutti nomi prestigiosi, ma lo troviamo anche su Spark In The Dark della poco conosciuta Alpha Band.
Lunga crisi e ottuagenaria rinascita
A partire da fine anni ’70 il successo cala e gli album si fanno banali e sovente modesti. Nel 1989 nasce la Ringo Starr & His All Starr Band, buffo carrozzone nostalgico in cui Ringo funge da frontman, maestro di cerimonie e ogni tanto batterista. Nel corso degli anni apparirà con lui sul palco, occasionalmente o con una qualche stabilità, un fiume di gente nota come Harry Nilsson, Dr. John, Joe Walsh, Brian Wilson, Eric Clapton, Bruce Springsteen Leon Russell, Billy Preston, Todd Rundgren, Steve Lukater, Jeff Lynne.
Nel 2015 entra a far parte della Rock & Roll Hall Of Fame come solista. Alla cerimonia si autodescrive così: “Mi chiamo Ringo e suono la batteria”. Come sempre basta il nome.
Le cose vanno avanti in forma di dorata routine fino al 2025 e al ritorno a un suono country sagomato da un produttore esperto e sensibile quale T Bone Burnett. Ed è così che, a 85 anni, con Look Up Ringo sfodera il suo album forse migliore.
Breve nota su Ringo Starr attore
Quella faccia da cinema di cui si diceva gli garantisce anche una discreta carriera sullo schermo: Candy e il suo pazzo mondo con Marlon Brando e Charles Aznavour (1968), The Magic Christian con Peter Sellers e Raquel Welch (1969), Il figlio di Dracula (1974), Lisztomania (1975). Il cavernicolo (1981). Interpreta l’alter-ego di Frank Zappa in 200 Motels ed è più simpatico dell’originale. Ci voleva poco, dirà qualcuno.
Vita privata, prese di posizione pubbliche
L’11 febbraio 1965 Ringo sposa la fotomodella inglese diciottenne Maureen Cox, da cui ha tre figli (il primo è il futuro batterista Zak). Divorzia 10 anni dopo e nel 1981 conduce all’altare l’attrice statunitense Barbara Bach, conosciuta sul set de Il cavernicolo. Insieme a lei nel 1988 va a disintossicarsi dall’alcool in una clinica dell’Arizona. Cosa rara nel mondo dello spettacolo, i due sono ancora insieme e conducono la classica vita da super-ricchi nella magione di Beverly Hills, incluse attività benefiche come la creazione di una clinica gratuita per tossicodipendenti. Ringo si dichiara tifoso del Liverpool nel calcio (e dei Dallas Cowboys nel football americano) e ha frequenti contatti online con Paul McCartney. Le origini non si dimenticano.
Poco si sa delle opinioni politiche di Ringo Starr, anche se nel 2016 è dichiaratamente pro-Brexit (mentre McCartney è contrario). Da anni “Peace and Love” è il suo mantra che gli viene ripetuto da quasi chiunque lo incontri. Lui replica con un sorriso a volte un po’ affaticato. Come il concetto di pace e amore, d’altronde.
Ringo Starr nel 2025
Da tempo astemio, vegetariano, praticante di yoga e pilates, Ringo appare in ottima forma a dispetto dell’ormai veneranda età, e continua ad andare in tournée con la All Starr Band. Noi che non possiamo vederlo ci accontentiamo del bel video pacifista di Look Up con il suo messaggio di speranza, magari ingenuo ma che fa bene al cuore.
Questo testo è tratto da un intervento dell’autore durante l’evento “Chiedi dove dormono i Beatles”, tenuto alla Biblioteca Universitaria di Genova il 25 giugno 2025.
Per la consulenza tecnica su Ringo Starr batterista un ringraziamento va a Gino Paciello.
Note:
(1) Lewis Lapham “I Beatles in India. Altri dieci giorni che cambiarono il Mondo” p. 52.
(2) Lewis Lapham “I Beatles in India. Altri dieci giorni che cambiarono il Mondo” p. 83.
(3) Pubblicato in origine su Oui, vol. 7 n.3, marzo 1978
(4) Uncut, n.339 luglio 2025