Roger Waters The Wall

La polizia di Berlino prende fischi per fiaschi al concerto di Roger Waters

La tournée di Roger Waters “This is not a drill” (non è un’esercitazione), forse l’ultima perché a settembre avrà ottant’anni, è terminata in Europa prima dell’estate. Riprenderà da ottobre a dicembre in America Latina: sono sedici attualmente i concerti previsti. Intanto solerti segugi della polizia berlinese raccolgono materiale probatorio sui concerti a Berlino del 17 e del 18 maggio. Quello che troveranno, o non troveranno, andrà a un giudice che valuterà se Waters sia improvvisamente ammattito andando contro la sua storia personale e artistica per esaltare «il dominio violento e arbitrario del regime nazista in un modo che viola la dignità delle vittime e quindi sconvolge la pace pubblica», come ha detto l’ispettore Martin Halweg.

Sotto accusa è l’abbigliamento dell’artista in una scena dell’opera rock The Wall, rappresentata dal 1980 prima dai Pink Floyd, poi dal solo Waters. Quest’ultimo, per esigenze narrative, a un certo punto indossa una temibile uniforme che vuole indicare la trasformazione del protagonista nel suo alter ego dittatoriale. L’intento non è, ovviamente, quello che ha capito la polizia berlinese, bensì di critica alla degenerazione del personaggio di The Wall e del sistema della musica rock. Sono quarantatré anni che il pubblico, in tutto il mondo, l’ha capito.

 Waters in divisa da «fascista» a Potsdamer Platz nel 1990

L’abito, sempre con lo stesso significato, è variato nel tempo fino all’attuale palandrana di pelle nera con una fascia al braccio. In essa spicca il celebre marchio di due martelli incrociati in campo rosso e nero disegnato da Gerard Scarfe come l’intera grafica del disco The Wall a partire dall’indimenticabile copertina di mattoni bianchi. I martelli, che evocano una dittatura immaginaria,non hanno significato rispetto ai simboli storici delle vere dittature.

La polizia tedesca si è mossa contro Waters su sollecitazione del governo israeliano e del centro “Simon Wiesenthal” che pure, rispetto alle sue finalità, dovrebbe occuparsi di cose ben più serie. Ad esempio dello stesso governo israeliano, il più estremista e controverso nella storia dei governi israeliani, in cui spiccano personaggi, come i ministri Itamar Ben Gvir e Bezalel Smotrich, che con tendenze proprie del nazismo quali il razzismo e l’omofobia hanno consuetudini ben più verificabili e consolidate di qualsiasi equivoco in proposito possano aver suscitato gli atteggiamenti di Waters (v. il mio articolo su Minima Cardiniana).

La sensazione è che si sia voluto vedere nella palandrana una divisa da nazista per criminalizzare deliberatamente l’artista, diventato scomodo perché sostenitore della causa palestinese nonché ostile ai nazionalisti ucraini e favorevole a un cessate il fuoco che riconosca le ragioni anche dei russi. Quando la rappresentazione di The Wall è stata, incidentalmente, funzionale agli interessi del potere, nessuna obiezione è stata mossa.

Chissà dov’erano, quelli della polizia tedesca, il 21 luglio 1990 quando Waters, durante il concerto trasmesso in diretta televisiva in cinquantadue nazioni da Potsdamer Platz per celebrare la caduta del Muro di Berlino, presenti circa trecentocinquantamila spettatori, con altre celebri rockstar a rappresentare The Wall insieme a lui, fece il suo numero in divisa da «sfrenato demagogo fascista», per dirla come la dice, con tanto di braccio teso nel saluto romano. La messa in scena ricordava Augusto Pinochet e Jean-Bedel Bokassa. Il filmato dovrebbe essere acquisito agli atti come elemento probatorio in favore della difesa.

Breve storia di Pink

Il 30 novembre 1979 i Pink Floyd pubblicano The Wall, il loro undicesimo (doppio) album, probabilmente la più grande opera rock di sempre. Il titolo non riguarda il Muro di Berlino ma il senso di separazione che il gruppo, in particolare Waters, avvertiva rispetto al pubblico numeroso e indisciplinato degli stadi dove l’enorme popolarità e la commercializzazione della musica giovanile l’avevano relegato.

Il 6 luglio 1977 a Montréal, durante l’ultima data del tour promozionale dell’album Animals denominato non a caso In the Flesh (nella carne, intesa come massa amorfa di spettatori), Waters fu provocato da qualcuno del pubblico. Perse la testa e reagì sputando. L’incidente, elaborato psicologicamente con sincera volontà autocritica, lo portò a realizzare un’opera rock largamente autobiografica il cui protagonista Pink, che ha tratti suoi e, pare, dell’amico Syd  Barrett, costruisce un muro mentale di fantasie, isterie e paure dietro il quale si rifugia. La morte del padre in guerra, la madre iperprotettiva, la repressione a scuola, i tradimenti della moglie, lo isolano in una solitudine paranoica da cui uscirà attraverso una drammatica autoanalisi sotto forma di processo. L’esito lo condannerà ad abbattere il muro e a integrarsi con gli altri. Il messaggio è: la salvezza passa dall’acquisire il senso della realtà.

La scena in cui Pink s’immagina trasformato in dittatore paranazista, che in concerto Waters rappresenta con la famosa palandrana durante l’esecuzione della composizione, memore del tour del ‘77, intitolata proprio In the Flesh, critica la perdita d’identità dei giovani e la loro riduzione a masse sfruttate dal sistema commerciale del rock. La loro idolatria ricorda a Pink l’adesione dei popoli esagitati ai regimi autoritari. Da qui il delirio nazistoid evedendosi come una rockstar dittatore: lo si capisce benissimo guardando il film Pink Floyd-The Wall del 1982, diretto da Alan Parker, dove Pink è Bob Geldof (video sotto, altro elemento probatorio per la difesa). Seguirà, nel finale della storia, il disgusto di sé fino alla presa di coscienza.

Il rock e il potere

Il rock, dagli ancheggiamenti liberatori di Elvis Presley censurati in televisione nel 1957 ai mega raduni per la riduzione del debito dei Paesi poveri del 2005, passando per la canzone di protesta, la contestazione alla guerra del Vietnam, i concerti per alleviare la fame in Africa, ha rappresentato, nei circa settant’anni della sua esistenza, un formidabile veicolo per parlare dei mali del mondo e tentare di risolverli o, più ragionevolmente, di arginarli. Il potere, nelle diverse accezioni, ha variamente cercato di strumentalizzare il rock: dallo stesso Elvis bravo ragazzo durante il servizio militare ai Beatles baronetti. Fino alla presidente del Parlamento europeo, Roberta Metsola, che prima di andare in televisione da Fabio Fazio si fa fotografare, come una qualsiasi ragazzotta adorante, insieme al cantante sempre più sfiatato degli U2 in versione attempato piacione tamarro, riportando garrula su Twitter: «Insieme all’uomo che prima ha scosso il mondo con i concerti e poi con l’azione. Spiegando la nostra iniziativa #GeneratorsOfHope per l’Ucraina con un attivista globale, una leggenda del rock e un bravo ragazzo a tutto tondo @U2. È Bono: c’è una luce». Uau!

Uno come Paul David Hewson, in arte Bono, è l’uomo giusto per il potere che voglia darsi un’apparente verniciata “alternativa”. Vanitoso,  superficiale, zelante commerciante dell’ovvio, è il perfetto testimonial da mandare in televisione a dire che la guerra è bella, Zelensky buono, Putin cattivo, chi non è con noi è contro di noi, adesso tutti insieme al concerto dei Måneskin a sventolare la bandiera dell’Ucraina. A quello che dice, anzi, ci crede pure.

L’irascibile Roger Waters, come Bob Dylan o Neil Young, è uno autentico della vecchia guardia: prendere o lasciare. Può avere torto e risultare antipatico. Qualche volta esagera, qualche altra sbaglia. Però non sosterrà mai una causa strumentale come un Bono qualunque. E poiché la sua narrativa è spesso spiazzante, dissacratoria, rivelatrice delle manipolazioni del potere, si trascina i rancori di battaglie autentiche. Per i palestinesi contro l’iniquità e l’apartheid d’Israele. Per Julian Assange contro la vendetta del governo americano. Per la pace tra la Russia e l’Ucraina sfidando la semplificazione delle colpe. Insomma, un gran rompiscatole.

La post verità

Le accuse infamanti che egli riceve, ultimi gli insulti dell’esaltato cantante dei Disturbed, nomen omen, in concerto a Tel Aviv, hanno qualcosa di mostruoso che va ben oltre la loro falsità strumentale. Tutti coloro che gli hanno attribuito, con atteggiamento tendenzioso, una sensibilità nazista e antisemita, cioè il governo israeliano, il Centro “Wiesenthal”, la polizia tedesca, il Dipartimento di Stato americano, l’Unione Europea, ma anche i coniugi Gilmour, parlamentari tedeschi e britannici di diverso orientamento politico, le associazioni ebraiche e della società civile che lo hanno contestato a Francoforte e quelle che rilanciano in rete assurde interpretazioni sul suo conto, pretendono d’imporre la violenza della post-verità. È quella condizione in cui la veridicità di un fatto non è data dalla verifica oggettiva, ma da sensazioni, emozioni e convinzioni personali.

L’aspetto più volgare è dato dai media, soprattutto quelli di chiara fama, che riportano le notizie in maniera distorta e superficiale, cioè che Waters si sarebbe vestito da nazista, per assecondare la denigrazione del potere, non spiegando quindi che si tratta d’una rappresentazione teatrale la cui idea di fondo è che il nazismo sia esecrabile. È evidente che, assimilando ricostruzioni parziali e fasulle fatte passare per notizie, ci sia, da parte di chi lo contesta dal basso, spesso una sostanziale buona fede. È l’aspetto più inquietante: la possibilità che possa consolidarsi un convincimento fondato su una calunnia. Credere che Waters faccia i concerti vestito da nazista sarebbe come pensare che Charlie Chaplin era Adolf Hitler perché lo impersona nel capolavoro cinematografico Il Grande Dittatore.

«Leggete, leggete, leggete»

Naturalmente l’ex leader dei Pink Floyd non ha porto l’altra guancia. Sul sito “Double Down News”, in un video di circa venti minuti, ha contrattaccato a muso duro: “Il governo israeliano mi considera una minaccia al suo regime coloniale e razzista, e quindi ha fatto di tutto per screditarmi e distruggere me, la mia carriera, la mia famiglia”. Sulle accuse di antisemitismo: “Potete mettere assieme quanti imbecilli volete che ripetano questa bugia, ma rimane una sporca bugia”. Ai tedeschi: “Siete accecati dal senso di colpa per l’Olocausto, che è talmente grande da farvi accettare il mantra secondo cui Israele non può fare del male e chiunque si opponga alle sue politiche deve essere silenziato”. Infine: “Posso sembrare forte, ma sono sconvolto, non posso credere che stiano facendo questo a me. Non state insultando solo me, ma anche la mia famiglia e in particolar modo mia madre e mio padre, che è morto combattendo i nazisti ad Anzio il 18 febbraio 1944, quando avevo cinque mesi”.

La conclusione è l’insegnamento della madre Mary Duncan Whyte che, dopo la morte del padre Eric Fletcher Waters, crebbe da sola lui e il fratello maggiore John: “Devi fare la cosa giusta”. Quindi: “Non potete credere a quel che dice la BBC che è il microfono del governo e della classe dirigente. Non vi dicono la verità. Vi consiglio di fare quel che diceva mia madre: leggete, leggete, leggete”.

Intanto l’attenzione della gioventù, rappresentata per noi da Giovanna, di Martina Franca, che è andata a vedere Roger Waters a Bologna e che non era ancora nata quando fu pubblicato The Wall, non è stata toccata da polemiche pretestuose che fa fatica a recepire. “Assistere al concerto di Roger Waters nella sua ultima tournée è stata un’esperienza unica. Da inesperta quale sono, in quanto figlia di un’altra epoca musicale, sono felice di aver assistito ad uno show unico nel suo genere! Una bellissima energia regnava all’interno della Unipol Arena: un susseguirsi di emozioni fino alla commozione generale quando, nell’alternarsi dei colori delle luci del concerto, apparivano sul grande schermo i volti di tante vittime della guerra. Più che un concerto, una vera e propria experience!”.

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Pietro Andrea Annicelli è nato il giorno in cui Paul McCartney, a San Francisco, fece ascoltare Sergeant Pepper’s ai Jefferson Airplane. S’interessa di storia del pop e del rock, ascolta buona musica, gli piacciono le cose curiose.

2 pensiero su “Articolo: Roger Waters antisemita? Piantatela.”
  1. Concordo su tutto quanto è scritto in questo interessante e lucido articolo. In quest’era di informazione distorta e ridondante possiamo solo sperare in alcuni singoli che, attraverso la loro notorietà in ambiti diversi (soprattutto artistici) possono far arrivare messaggi che si distinguono dalla comunicazione mainstream (quella si’ dittatoriale). Purtroppo è l’eccezione che conferma la regola: solo con del potere mediatico alternativo (una volta la di chiamava controinformazione) si può fronteggiare la deriva del pensiero unico. Troppi pochi quelli che possono accomunare una potenza di immagine con un pensiero libero e non soggiogabile. Waters è uno di questi

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