Marianne Faithfull, i Rolling Stones e una canzone celebre e controversa: Sister Morphine.
Di chi è cosa
“L’ho scritta, mi appartiene”. Così parlava Marianne Faithfull, che ci ha lasciato a settantotto anni dopo un percorso artistico ed esistenziale sofferto e indimenticabile, della canzone iconica resa celebre dai Rolling Stones. Seconda solo a Heroin di Lou Reed (1942-2013) per la narrazione tanto crudelmente lirica quanto tremendamente realistica, Sister Morphine è l’istante drammatico in cui l’arte e la vita s’intersecano nel rappresentare la condizione umana.
“Mick ha iniziato a scrivere la musica a Roma dove alloggiavamo con Keith e Anita” ha scritto l’artista nella sua autobiografia pubblicata nel 1994. “Era solo un riff, essenzialmente. Aveva la melodia da circa sei mesi e andava in giro per la casa strimpellandola. Sono arrivata al punto in cui ho capito che se qualcuno non avesse scritto il testo, saremmo stati ad ascoltarla per i successivi dieci anni”. L’onesto Keith Richards, autore ufficiale della musica insieme a Jagger, contraddicendo il socio che aveva sminuito il lavoro dell’ex fidanzata, ha confermato: “Marianne ha avuto una gran parte in Sister Morphine. Conosco lo stile di Mick che all’epoca viveva con Marianne e so, dallo stile della canzone, che diverse parti sono di lei”.
L’ombra lunga dei Velvet Underground
La Sister Morphine cantata da Marianne Faithfull, secondo lato del 45 giri Something Better pubblicato il 21 febbraio 1969, non avrà fortuna. Stampato in circa cinquecento copie, il disco sarà ritirato dal mercato nel Regno Unito a causa della canzone incriminata. La ragazza, insieme agli Stones, era nel mirino dei benpensanti. Due anni prima, durante una retata della polizia che aveva portato in carcere tutti gli ospiti di Redlands, dimora di Richards nel Sussex, lei era stata trovata nuda sotto una coperta di pelliccia: il colmo per una discendente dello scrittore austriaco Leopold von Sacher-Masoch (1836-1895), autore del romanzo Veneri in Pelliccia indispensabile ai Velvet Underground che tanto le piacevano.
Era stata probabilmente Anita Pallenberg (1942-2017), compagna di Keith che aveva lavorato con Andy Warhol (1928-1987), a farglieli ascoltare. Anni dopo in Kissin’ Time, 2002, quindicesimo dei suoi ventuno album in studio, Marianne avrebbe scritto Song for Nico con tanto di frecciata vendicativa (“E Delon sarà ancora uno stronzo”) all’attore padre di Ari, il figlio dell’ex chanteuse dei Velvet che non volle riconoscere nonché amante della stessa Faithfull, motociclista con i capelli biondi al vento, nel film Nuda Sotto la Pelle del 1968. Memorabile, in anni in cui l’erotismo aveva un senso anticonformista, la scena in cui le tira giù la cerniera della tuta nera con i denti.
Sempre nell’autobiografia, la cantautrice ha scritto: “Mick sembrava non avere idea di quale genere di parole sarebbero potute andare con la musica. (…) Ho usato la poesia Lycidas di John Milton come modello. Nella mia testa incominciarono a delinearsi una vivida serie d’immagini e la storia d’un dipendente dalla morfina. Ero una grande appassionata dei Velvet Underground. Ascoltavo i loro dischi in giro per la casa continuamente (…) e in qualche maniera devono essersi riversati nel mio cervello. Mick fu la prima persona a cui mostrai il testo. Era impressionato. E spaventato”.
Da una cerniera all’altra
Gli Stones incidono Sister Morphine agli Olympic Sound Studios di Londra con Ry Cooder, virtuoso della steel guitar, il 22, il 28 e il 30 marzo 1969 durante le sessions di Let It Bleed. Cooder avrebbe ricordato che c’era Brian Jones (1942-1969), il fondatore del gruppo morto il 3 luglio dopo esserne stato estromesso, che piangeva in un angolo. Le due versioni hanno gli stessi musicisti. In quella originaria c’è la Faithfull alla voce, Jagger alla chitarra acustica, Cooder alla slide guitar, Jack Nitzsche (1937-2000) al piano e all’organo, Charlie Watts (1941-2021) alla batteria. Registrano nel luglio ’68 ai Sunset Sun Studios di Los Angeles durante il missaggio di Beggars Banquet. Gli stessi più Keith Richards alla chitarra acustica, con Jagger al posto della Faithfull alla voce e Bill Wyman al basso, faranno la versione degli Stones.
Le liriche sono leggermente diverse. Mick, memore della performance dolente e ispirata della fidanzata, fornisce una delle sue interpretazioni migliori, lontana anni luce dal tono sguaiato con cui canterà la canzone alla fine degli anni Novanta nel Bridges to Babylon Tour, l’unica volta in cui sarà inserita stabilmente nei concerti. L’arrangiamento è favoloso. Spicca la slide spettrale di Cooder, ma anche l’accompagnamento di Richards, tra il blues e il country, che risente dell’influenza, al tempo, di Gram Parsons (1946-1973).
Sister Morphine resterà fuori da Let It Bleed. La strana morte di Jones, il tentativo di suicidio di Marianne ingerendo dei sonniferi dopo aver perso una bambina al settimo mese di gravidanza, l’assassinio a coltellate d’uno spettatore da parte degli Hell’s Angels a cui gli Stones avevano affidato il servizio d’ordine al festival gratuito di Altamont da loro organizzato, il rifiuto della Decca di pubblicare in copertina a Beggars Banquet l’immagine di Barry Feinstein del cesso pubblico ricoperto da graffiti che compare dal 1984, erano altrettanti drammi privati che intersecavano quelli pubblici: l’assassinio di Bobby Kennedy, la guerra del Vietnam e le contestazioni, la strage di Bel Air. Non era opportuno calcare la mano.
La canzone sarà recuperata, un anno e mezzo dopo, nel terzo dei quattro capolavori che, tra il 1968 e il 1972, rendono immortali gli Stones: Beggars Banquet, Let It Bleed, Sticky Fingers, Exile On the Main Street. Sticky Fingers è un disco di rottura in cui il gruppo, scaduto il contratto con la Decca e libero di pubblicare per la sua etichetta Rolling Stones Records (tranne un contratto capestro con la ABKCO del famigerato manager Allen Klein con cui saranno in causa per una vita), sfoga tutta la sua creatività comprese le oscenità e i riferimenti più o meno diretti al sesso e alla droga.
L’album passerà alla storia anche per due elementi grafici: la linguaccia disegnata da John Pasche che da allora sarà il loro marchio di fabbrica e la copertina di Warhol, evoluzione della celebre banana di The Velvet Underground & Nico pubblicato cinque anni prima: l’immagine pittorica della parte alta dei jeans del modello e attore Joe Dallessandro. In evidenza, sotto il pantalone, quello che si può immaginare. Mick Jagger avrebbe beneficiato, immeritatamente, dell’idea che fosse lui. La primissima edizione del disco avrebbe avuto una cerniera vera e apribile. In seguito sarebbe stata soltanto stampata perché premeva sul vinile rovinando la traccia sottostante: Sister Morphine.
La trasfigurazione d’un incidente d’auto
Colui che invoca il ricorso alla “sorella morfina” è, secondo Marianne Faithfull, la vittima immaginaria d’un incidente automobilistico: Jagger ha l’confermato. È stato scritto che l’ispirazione sia stata l’auto distrutta da Keith Richards il 7 giugno 1969 con Anita Pallenberg che si fratturò una clavicola, ma non può essere perché il 45 giri originario era stato pubblicato da tre mesi e mezzo. La ragione per cui il/la protagonista si trova “nel mio letto d’ospedale” non è precisata. La condizione di dipendenza, come in Heroin, è narrata in prima persona.
Nel 1969 Marianne non abusava di droghe. Finita, l’anno dopo, la relazione con Jagger, divenne rapidamente una tossica. Quando pubblicano Sticky Fingers “era ovunque e conteneva la mia canzone, Sister Morphine” scrive nella sua autobiografia. “Un pomeriggio sono entrata con orgoglio in un negozio di dischi per sbirciare il mio nome, solo per scoprire che la mia canzone era attribuita a M. Jagger e K. Richards. L’umiliazione definitiva, il mio nome cancellato anche dalla mia stessa canzone. Ho scritto una lettera indignata ad Allen Klein e sono andata a trovarlo. Mi mostrò una lettera scritta da Mick e Keith all’inizio del 1969 in cui si diceva che avrei dovuto ricevere un terzo dei diritti d’autore. Si è scoperto che non mi avevano accreditato perché, quando è stata scritta Sister Morphine, avevo ancora un contratto (con un ex manager) e nessuno di noi voleva vederlo ricevere i diritti d’autore della canzone. Apparentemente l’accordo prevedeva che avrei ricevuto i diritti d’autore ma nessun credito. (…) Ho vissuto dei diritti di Sister Morphine per diversi anni magri”.
Un’altra versione, probabilmente complementare, è che Jagger e Richards non volevano che spendesse in droga i diritti. Già il 45 giri originario era stato pubblicato negli Stati Uniti dalla London Records accreditando la canzone soltanto ai due apparentemente all’insaputa della Faithfull. Affinché fosse riconosciuta come autrice, lei dovette affrontare una battaglia legale. Vinse e dal 1994 il suo diritto è riconosciuto dalla Virgin Records che ha stampato la parte più prestigiosa del catalogo dei Rolling Stones.
Un senso autobiografico definitivo
Lo scandalo di Redlands, i tradimenti di Mick, i sette aborti spontanei e non, il tentativo di suicidio a ventidue anni, la fine della relazione con Jagger, la tossicodipendenza, l’anoressia, la perdita dell’affidamento del figlio avuto dal primo marito, la vita da senzatetto per la strada a Soho, non distruggono, nomen omen, Marianne Faithfull. Nel 1979, mentre gli Stones si avviano a diventare irrilevanti, lei pubblica il suo disco forse più importante: Broken English.
È una rinascita artistica che sarà confermata nel tempo da album e da collaborazioni importanti, rendendola una voce rispettata e autorevole. La nomination per il Grammy Award come “miglior performance vocale femminile rock” è il riconoscimento al nuovo tono maturo, aspro, arrochito ma straordinariamente presente, vivido, ricco di sfumature. Si riappropria di Sister Morphine e con l’album dal vivo Blazing Away, che contiene le registrazioni del 25 e del 26 novembre 1989 alla Cattedrale di Sant’Anna a Brooklyn, ne offre una versione regale.
E se il giovane Jagger flirtava con il diavolo esprimendo gli la sua simpatia, Marianne Faithfull, ritornata da una stagione all’inferno, sembra dire: non venitemi dietro. Quello che ho vissuto ve lo racconto affinché nessuno voglia riprovarci. Signorile ma non distaccata nella sua forza d’animo. Semmai diretta nel comunicare, anche soltanto nelle emozioni in chiaroscuro delle parole scandite, il disincanto dell’esperienza e le sue cicatrici esistenziali.
Sette anni fa, prima del Covid che ne avrebbe pregiudicato la possibilità di continuare a cantare (il suo ultimo album con il polistrumentista australiano Warren Ellis, She Walks in Beauty del 2021, la vede recitare opere di poeti romantici inglesi), la sua dichiarazione definitiva su Sister Morphine allo scrittore Kris Needs: “È il mio autoritratto in uno specchio scuro, il mio capolavoro gotico in miniatura, la mia celebrazione della morte”.
Se è vero, come è vero, che Marianne Faithfull, con la sua educazione borghese e anticonformista, fu indispensabile alla crescita culturale dei Rolling Stones nei loro anni migliori (molte canzoni del gruppo traggono elementi e spunti creativi dalla sua influenza su Mick Jagger e dai loro discorsi), è altrettanto vero che il disordine intorno a tutti loro e l’attrazione del baratro trasformarono Sister Morphine, per lei, in una profezia che ha rischiato di auto avverarsi. La capacità d’essere fedele a sé stessa non lamentandosi né spiegando, ma accettando ed esprimendo l’umana imperfezione attraverso l’aristocrazia dell’arte, come scrisse nell’autobiografia parlando di sua madre, è il vero lascito resiliente che le ha permesso di schivare «le lenzuola bianche e pulite macchiate di rosso» d’una morte prematura. Fino a poter cantare ancora, nel penultimo album Negative Capability, 2018, il candore di In My Own Particular Way.
“Mandami qualcuno da amare.
Qualcuno che potrebbe ricambiarmi.
Amarmi per quella che sono veramente.
Non nell’immagine e non per i soldi.
So di non essere giovane e di essere danneggiata
ma sono ancora carina, gentile e divertente
a modo mio.
Capace di amare
a modo mio
e pronta a farlo.
Infine
mi ci è voluto molto tempo per imparare.
In effetti, tutta la mia vita finora.
Ho dovuto bruciare così tanta spazzatura.
Ho dovuto affrontare così tante cose.
Mandami qualcuno, per favore, che mi amerà.
Qualcuno che possa vedere tutti i miei difetti
ma amarmi comunque.
E ci ameremo
a modo nostro”.