Un film sul mastodontico Frank Zappa? Alex Winter ci prova e ci riesce

Si può pensare di contenere l’arte e la vita di Frank Zappa nell’arco di due ore di documentario? Il regista  (inglese di nascita, americano di residenza) Alex Winter ci ha provato. Zappa, questo il titolo, raccoglie testimonianze, video e documenti vari  sulla vita di uno dei mavericks più celebrati della musica americana. Fin da piccolo, Frank  ha filmato e montato spezzoni di vita familiare, continuando ad accumulare materiale video sia sul palco che nel backstage. Non solo esecuzioni musicali, ma anche momenti di svago, studio o cazzeggio. In parte, quindi, questo documentario è farina del suo sacco. Lo vediamo più volte  passeggiare nello sconfinato archivio con un trattenuto ma evidente orgoglio (immaginate uno di quei sotterranei tipo palazzo di giustizia, pieno di faldoni fino al soffitto).

Alle prese con archivi enormi Alex Winter organizza bene il suo lavoro

Occorre subito precisare che il documentario è molto  esauriente e cronologicamente ordinato, con preziose testimonianze di musicisti, familiari e collaboratori. Si va dalle  prime esibizioni con le Mothers (nelle varie formazioni) fino alla musica complessa degli ultimi anni. Il percorso artistico zappiano è analizzato in ogni parte, anche a scapito dei frammenti musicali, che sono pochi, ma utili nel contesto documentaristico (spunta anche il frame di un concerto a Genova).

I momenti più significativi di Zappa

Tra le immagini più pregnanti ci sono quelle di un viaggio nella Cecoslovacchia da poco post-comunista dove il nostro viene accolto come un re e insignito, in seguito, del titolo di ambasciatore culturale per i rapporti con gli USA! Viene ricordato anche  l’impegno deciso e solitario contro la censura americana, così come l’insoddisfazione verso la riproducibilità delle composizioni più ostiche. Non manca un accenno al  rapporto a volte zoppicante con i quattro figli e con la moglie Gail.

Con le dure inquadrature del musicista già malato e la caparbietà con cui porta a termine il progetto The Yellow Shark, si conclude questo viaggio. Un ritorno a casa verso la musica che per prima lo conquistò, quella di Edgar Varèse, in un ultimo capitolo di una carriera interrotta a 52 anni, con circa sessanta dischi usciti in vita e altrettanti postumi. Nel finale, sui titoli di coda,  si ascolta finalmente un lungo assolo, di quelli che farebbero zittire anche uno come Steve Vai (che forse lo sottintende, se ho colto l’allusione, in un momento del film). Se state per alzarvi dalla poltrona, come spesso si fa, aspettate un attimo…

print

Recensore di periferia. Istigato da un juke-box nel bar di famiglia, si cala nel mondo della musica a peso morto. Ma decide di scriverne  solo da grande, convinto da metaforici e amichevoli calci nel culo.

Lascia un commento!

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.