di Antonio Vivaldi
Ma questo signore dall’eleganza vagamente mafia-style, dalla Jaguar nuova di pacca e dalla meditativa saggezza è la stessa creatura selvaggia che trent’anni fa annodava il filo del microfono intorno al collo di uno spettatore molesto urlandogli: “E adesso riesci ancora a esprimerti”? Lo stesso tipo ombroso che vent’anni fa, come preliminare a un’intervista, mi diceva: “Se non conosci bene la mia musica, smettiamo subito”? Chi veda Nick Cave – 20,000 Days On Earth nulla sapendo del musicista australiano, ne ricaverà l’impressione di un artista maturo e dal pathos sapiente che in un tempo lontano è stato tossicomane e leader di una violenta band chiamata Birthday Party. Per contro, il caviano di lungo corso faticherà a convincersi di come il giovane perennemente a torso nudo del periodo berlinese sia ormai solo una foto in bianco e nero che gli archivisti si occupano di analizzare e catalogare. In realtà i due Cave convivono e hanno sempre convissuto, come dimostrano la tenera lettera scritta alla madre dal musicista poco più che esordiente, “Mamma, il nostro singolo è recensito dal New Musical Express!”, o la carica ancora piuttosto scura di una recente esecuzione live di Higgs Boson Blues. All’inizio del film Cave pronuncia una frase destinata a rimanere criptica, “dalla fine del XX secolo non sono più un essere umano”, visto che il prosieguo del film sembra descrivere una progressiva maturazione accompagnata da un paio di punti fermi: 1) il costante interesse per la “transformative performance”, per la capacità di mutare la realtà o di trasferirsi in una realtà altra attraverso l’arte (“nelle mie canzoni la presenza di Dio è forte, nella mia vita no”); 2) la necessità di mantenere una cifra stilistica forte (“La rockstar non deve cambiare, deve essere riconoscibie da un singolo segno”). Se la faccenda sembra a questo punto assai seriosa, occorre dire che il notevolissimo film diretto da Iain Forsyth e Jane Pollard riesce a essere invece fluido, coinvolgente e a tratti molto divertente.
httpv://www.youtube.com/watch?v=zQ5lNd7hHgk
Affascinante è innanzitutto l’idea di partenza. 20,000 Days On Earth racconta il ventimillesimo giorno trascorso sulla Terra (per la precisione in una piovigginosa Brighton) da Nick Cave, un giorno-simbolo che per il musicista diviene spunto di meditazione sulla propria esistenza. La giornata, scandita da brevi trasferimenti in auto, è una successione di eventi non certo epocali (ricordando in questo il Leopold Bloom dell’Ulisse joyciano): una breve permanenza in studio per tentare di scrivere un testo con macchina da scrivere retrò, una seduta dall’analista dove Cave ricorda il padre che gli leggeva Lolita, un pranzo ‘di lavoro’ a casa di Warren Ellis (esilarante la storiella su Nina Simone) e una visita all’archivio. Qui, osservando una serie di vecchie foto, Nick ripercorre i primi anni di carriera e ricorda con particolare affetto il bassiista dei Birthday Party Tracy Pew (“in questo foto si vede Tracy che prende a pugni il tedesco che piscia sul palco”). La sera propone l’immagine serena di papà Nicola che mangia una pizza, invero un po’ triste, guardando Scarface in tv insieme ai figli, mentre la chiusa è affidata a una potente versione concertistica di Jubilee Street, dove ritorna uno dei temi centrali del film. Cave ripete più volte la frase “I am trasforming, I am vibrating, look at me now…” mentre il montaggio inserisce spezzoni di vecchi concerti altrettanto energici come fattiva testimonianza della trasformazione-vibrazione..
20,000 Days On Earth è probabilmente il miglior film ‘musicale’ degli ultimi anni per idea-base, struttura e guizzi registici (geniale, ad esempio, l’idea dei passeggeri-fantasma durante i tragitti in auto), un film in cui quasi ogni momento andrebbe, per un motivo o per l’altro, citato o raccontato. E allora, per chiudere, riportiamo questo geniale scambio di battute:
Warren Ellis: Quando canti questo pezzo mi ricordi qualcuno…
Nick Cave: Tim Buckley?
Warren Ellis: No… Direi piuttosto… Lionel Ritchie.
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Nick Cave – 20,000 Days On Earth (finale)
P.S. Qualche critica hanno ricevuto i sottotitoli italiani, che in realtà non sono male, salvo una gaffe piuttosto evidente. A un certo punto si legge “ero al concerto dei Killer” e poco dopo si evince che il concerto era “del Killer”, cioè Jerry Lee Lewis.