Nick Cave One more time with feeling

Nick Cave One more time with feeling

“Susie ed io abbiamo deciso di essere felici, di prenderci cura l’uno dell’altro e delle persone che ci circondano”. Si chiude con queste parole, pronunciate da Nick Cave, il bellissimo, commovente documentario proiettato in esclusiva e in contemporanea nelle sale cinematografiche di (quasi) tutto il mondo, alla vigilia della pubblicazione del nuovo attesissimo album del cantautore australiano, Skeleton Tree.

Il processo creativo e l’elaborazione del lutto

Documentario bellissimo, dicevamo, coinvolgente e pudico allo stesso tempo, che ha il pregio di trattare con immensa grazia il tema del lutto e di raccontarci di quanto il lutto sia, contrariamente alle leggende, di ostacolo al processo creativo, senza scorciatoie e senza retorica. Vi è anche tanta sincerità nelle parole, spesso estremamente poetiche scelte da Nick Cave.

Fughiamo subito il timore: non si tratta di una intromissione nella vita privata della famiglia Cave. Il dramma della morte di Arthur è presente solo per allusioni e alla fine ciò che Nick e Susie ci raccontano sono sentimenti universali nei quali tutti possiamo riconoscerci almeno in parte. La cosa più interessante, almeno per chi scrive, è stato proprio sentire Nick Cave, musicista dal talento indiscusso e la cui creatività non può certo essere negata, spiegarci come occorra fare i conti con il trauma (“trauma che è lì, ben presente” dice) prima di poter iniziare a scrivere. Le immagini scorrono: primi piani, bianco e nero.

Prima di intonare Jesus Alone, magnifica, al pianoforte, Nick spiega: “Perdo la voce, l’iphone e il giudizio. Sono spesso le cose invisibili, le cose perdute, le più pesanti e le più ingombranti”. Discreta e delicata la presenza di Susie, la moglie di Nick Cave e del figlio Earl, perfettamente inseriti nella logica di questo documentario che racconta senza dire, presenta con discrezione e trasforma in tema universale una storia particolare, facendone astrazione.

Un film riuscito anche esteticamente

Bellissima la fotografia in bianco e nero, ad eccezione delle immagini che accompagnano l’esecuzione di Distant Sky, che si colorano di vivide tinte molto calde e ci trasportano dalla Brighton in chiaroscuro verso una moderna città nel passaggio dalla notte all’alba; la canzone è cantata in duetto con Else Torp, ritratta anche lei nel film con i suoi bei capelli rosso fragola.

Infine occorre segnalare la presenza di Warren Ellis, grande amico di Nick Cave e musicista indispensabile dei Bad Seeds, che assieme al regista Andrew Dominik ha fatto in modo che in questo film particolare il privato rimanesse tale, e che fosse mostrato solo ciò che doveva esserlo, realizzando un documentario emozionante e assieme entusiasmante.

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Milanese trapiantata a Parigi, fra filosofia e diritto, le mie giornate sono scandite dalla musica. Amo la Francia, il mare e il jazz. I miei gruppo preferiti ? I Beatles, i Radiohead, gli Interpol e gli Strokes.

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