Johnny Hallyday: Rester vivant
A 71 anni Johnny Hallyday incide il suo quarantanovesimo album (il primo è del 1961) e fa le cose alla grande.
Registrato a Los Angeles sotto la produzione dell’ex Was (Not Was) Don Was, presidente della Blue Note e produttore fra i più importanti del mondo, musicato da Maxim Nucci, in arte Yodelice (che suona un sacco di chitarre diverse, fa i cori, porta un bagaglio notevole di musica nuova, fresca), Yarol Poupaud (il suo chitarrista di sempre) e David Ford, scritto da Miossec, Isabelle Bernal e Jeanne Cherhal, Rester vivant marcia davvero come un treno.
Il risultato: oltre 150.000 copie vendute, record del 2014, ben sopra l’orribile cd dei Pink Floyd e, addirittura, una volta e mezzo le vendite de Les Enfoirés, la compilation che sembrava dominare l’annata.
Straccia gli One Direction e Brigitte, la nuova voce femminile di Francia (mah!), segno che anche fra i giovani c’è chi segue le sue avventure.
Sicuramente il miglior cd rock degli ultimi 30 anni per Johnny che fa finalmente parlare di sé per motivi musicali e non per le solite notiziole gossip.
Vivo grazie al rock
Blues, soul, country, r’n’r di pura maestria: il primo ascolto è piacevole, poi capisci che ci sta mettendo l’anima, interpreta con grande passione, come fosse tornato sul set de L’uomo del treno, la sua prova cinematografica meglio riuscita e ruvida come la sua voce, aspra e sincera.
Certo, vi è il pieno di strumenti di ogni genere, messi però in secondo piano dalla sua intensità, dal suo calore, dal suo essere di guardia sull’intero lavoro.
E’ Yodelice a dirigere un cast di musicisti di primordine, ma sono i parolieri a far si che Hallyday si mostri, finalmente, per quello che effettivamente è: un uomo di ‘mezza età’, anche se con la forza di tre leoni.
Che bel connubio, però! Un bel mix fra chanson française e rock americano che, parto proprio da fine cd, si chiude con un brano alla Springsteen, A nos promesses, dove canta “Sono giovane da molto tempo”.
Johnny Hallyday e la politica
E noi gli crediamo, come crediamo nella sua virata politica quando dice “non credo più in Sarkozy e nella sua attuale politica ma, in generale, non credo più nella politica odierna”.
Certo, poi afferma “rimpiango Pompidou e quegli anni dove in Francia ci si divertiva, cosa che non si fa più ora, in questa Francia triste e cupa … Anche a Los Angeles [dove il nostro ha un complesso residenziale, nda] c’è la stessa situazione, ma laggiù non si lamentano tutto il giorno, gli americani! Qui si fanno le 35 ore, le manifestazioni, gli scioperi… Trovo tutto ciò desolante. Non è così che se ne uscirà …”.
Lo sguardo sulla Francia
Subito dopo, in un’altra intervista afferma però che “i francesi hanno ragione di essere depressi, ma credo che non si sia ancora arrivati alla canna del gas. Ci si arrangerà. Per me la Francia è uno dei paesi più belli del mondo e i francesi sono un popolo meraviglioso che merita di uscire dal baratro.”
Sempre contraddittorio, ma sempre lucido nella sua visione delle cose. Lui che preferisce la rivoluzione alle manifestazioni. Lui che però sostiene Sarkozy per sette anni per poi smontarlo come un giocattolo. Va savoir! (di recente abbiamo visto Johnny in un breve video “Je suis Charlie”, anche se non ha rilasciato dichiarazioni riguardo alla vicenda).
Johnny Hallyday canta la solitudine
Il cd si apre con J’ai ce que j’ai donné, ove una chitarra introduce la voce rockettara che ci parla subito di sogni perduti, memorie, amore e tempo che vola via. Un inizio piatto, monotono per poco più di un minuto; poi, improvvisamente, ecco che arrivano i tre leoni e via con le ballate, il rock puro, tenerezza e durezza, ritmi sostenuti, musica da 80.000 persone, come quelle radunate nei suoi recenti concerti (il nuovo tour partirà a breve).
Canta la solitudine che ha vissuto: “Ho sbattuto in faccia alla solitudine assoluta: non quella di vivere solo, ma quella di morire solo”. Canta l’amore: “La mia donna, la tratto sempre come se fosse il primo giorno che ci siamo incontrati. Bisogna aver cura dell’amore, è fondamentale”. Canta la giovinezza trascorsa con la zia e ci scherza sopra : “Quello che mi diceva mia zia Elena era di non fidarmi delle ragazze, Johnny! Ma non ho seguito il suo consiglio, eh eh!”
Fra presente e passato
La carta vincente del cd è raccontare il vissuto e il presente, così come sono stati e sono adesso. Essere un tutt’uno con le sue canzoni: “Tutto quello che so è che non potrei cantare con così tanta convinzione se non avessi vissuto la vita che racconto”. E poi: “Brel non fu un cantante di r’n’r o di blues, ma nelle intenzioni, nello spessore, avrebbe tranquillamente potuto esserlo. Faceva vivere i suoi scritti, li sparava in faccia alla gente. Così faccio io.”
Mossa astuta: inserire una troupe giovane e talentuosa per smettere di fare il giovane eterno e accettare la propria età. E si spazia, merci encore Yodelice, dal folk di Une lettre à l’enfant que j’étais al blues grezzo di J’t’ai même pas dit merci, mentre Rester Vivant, la title track, assomiglia a Allumer le feu come energia e come brano per infiammare le folle, mentre Seul è un cow-boy urbano solitario che cammina “verso un futuro ignoto”.
Au café de l’avenir è puro r’n’r da Fender, da Johnny debuttante che grida “Impara a vivere al contrario… Brinda alla vita presente”, una specie di contraddizione in bolla col suo carattere. Ed è proprio questa la canzone che fa brillare il cd, nonostante cali un pò di pathos sulla strofa finale.
Te manquer è un bolero spruzzato di country, rock, elettronica sparato sulla folla e nelle orecchie coperte dalle cuffie.
Ritorniamo ora a parlare di A nos promesses, il brano conclusivo che finisce con “La mano sul cuore e il pugno chiuso”. Chi vi ricorda? Io non ve lo dico di certo, ma spero siate stati attenti nella lettura poco prima …
Johnny Hallyday Dice Che Si Può
“Ho ancora un sogno. Restare vivo!” Ecco “Rester vivant”, pronta al mio ennesimo ascolto “Del desiderio. Avventurarsi. Lasciare che la voglia ci bruci. Essere due. Darsi completamente. Fino alla propria libertà. Accettarsi. Appartenersi. Credere nel domani. Sperare che duri nel tempo. Prima che l’amore si dissolva. E tanto che l’amore esiste. Tanto che il sogno sia desto. Restare vivo. Restare vivo. E tanto che l’amore esiste. Dal momento che si deve morire. Restare vivo. Restare vivo. Ferirsi. Soffrire. Dirsi le parole più tremende. Non poterne più. E poi dimenticare tutto.Tutto ciò che amavamo di noi. Dispiacersi. Perdonarsi. E ricominciare da capo. Vedremo che durerà ancora un bel pò. Prima che l’amore si dissolva. E tanto che l’amore esiste. Tanto che il sogno sia desto. Restare vivo …”.
Queste parole dopo un’intervista dove affermava di aver bisogno della solitudine per riflettere poiché la società moderna lo stressa e con l’età tutto si acuisce. Dopo il coma nel maggio 2010 per un miscuglio di alcolici ha affermato che “i rumori m’infastidiscono… però amo cantare, soprattutto ora che ho imparato a non cantare più di gola come facevo prima, ma ad usare stomaco e diaframma come i veri cantanti lirici.”
Basta col fumo (solo sigaretta elettronica), basta con l’alcool, tanto sport, basta uscite notturne.
Dice che il rock è finito nel 1965 con Gene Vincent e Eddie Cochran e che, oggi, la parola “rock” è abusata, “viene messa ovunque e senza un senso logico”. Monito.