La storia del rock in Italia

La storia del rock italiano raccontata da Caselli e Gilardino.

La storia del rock in Italia

Due prefazioni, complementari tra loro. Ricordi personali, musiche di insiemi, sui bordi e al centro. La prima è di Manuel Agnelli (L’Italia dei nostri esordi era un posto culturalmente confuso, in cui però esisteva uno spazio enorme lasciato libero per la creatività). La seconda è siglata Franz Di Cioccio (Noi siamo il gruppo dai nomi strani. Per chiamare una band “I Quelli”, negli anni in cui abbiamo cominciato, ci voleva coraggio).

Una storia che nasce nel 1957

“La storia del rock in Italia” di Roberto Caselli e Stefano Gilardino (Hoepli, pp. 358, euro 29,90) è una poker-opera. Fanti, regine e re se si parte dal quel 18.05.1957 in un Palazzetto ghiacciato milanese dove avvenne un botto insolito, molleggiato e si giunge ai nostri giorni.  Vinilmaniaci e “next big things”. In un Paese dove chi sbarca il lunario facendo il musicista è, dai più, ancora considerato un baciato dalla fortuna in quanto esercita un non-lavoro. Bella lì, quindi perché farsi mancare oscuri oggetti dei desideri?

 

Tra le pagine, divisi per periodi, si menzionano dischi su dischi: da un Renato Carosone 4et ai Calibro 35. Parte, se vogliamo necessaria ma anche secondaria, in quanto e a ragione, è tutto un rimarcare contesti, usanze, luoghi, date, frequenze FM, video & label. Dove rock e urbanistica sono elementi saldamente accorpati. Pagine clou tra mangia&dischi, bandiere gialle, chi suonava in un complesso e adesso suona in una band, militant-songs, la realtà non esiste, cancelli della memoria, rock latino, mamma dammi la benza (ti prego). E a seguire, limpidi sguardi su proposte e fruizioni che, veloci come la luce, si trasformano. Live che (non) funzionano, sold-out, flop, scioglimenti, reunion, neo tecniche di sopravvivenza, negozi di dischi con la saracinesca abbassata, dietro le quinte. Valvonauti e centrali delle luci elettriche. Proporre a chi ha voglia di fruirne.

“La storia del rock in Italia” tra raccolto e semina

Suvvia, il rock è da mo’ un malato immaginario. E se un electro-album fatto in casa può essere lo straripare di un fiume in piena come  il rinchiudersi su se stesso, vuol dire uguali difficoltà e possibilità, punk prima e/o dopo di te. Gioco a nascondino. Ben descritto dalle parole diFrancesco Bianconi (Baustelle): Non mi piace il ruolo dell’artista, avverto una specie di pena per chi esercita in questa umana occupazione, destinato a vivere tra gioia e disagio. Volume utilissimo in quanto fruttuoso raccolto e nuova semina.

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Ha collaborato con diverse testate giornalistiche e da anni si occupa di controculture in diversi ambiti ed è organizzatore di eventi interdisciplinari. Nel 1994 è stato produttore artistico del disco "I Disertori. Omaggio a Ivano Fossati". Fa parte delle giurie nazionali di alcuni festival e rassegne musicali italiane. Ha pubblicato i libri "Bloom Sviluppi Incontrollati" (Vololibero, 2012) e "Le radici del glicine. Storia di una casa occupata" (Agenzia X, 2017).

Un pensiero su “Rock e letteratura: Roberto Caselli e Stefano Gilardino – La storia del rock in Italia”
  1. Libro scritto BENISSIMO (ho appena finito e ho già voglia di rileggerlo).
    Vorrei però chiedere conto agli Autori di un’assenza molto ingombrante: i NEGRAMARO. Come mai non sono nemmeno citati? Non vi piacciono? Non li considerate Rock? Vi hanno rigato la macchina? Attendo vostre delucidazioni, GRAZIE. Alessandro

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