UFPT - Trap | Tomtomrock

UFPT e il suo racconto ad ampio respiro sulla Trap.

UFPT - Trap | Tomtomrock

Già da mo’: YouTube Killed The Tv Stars. Andirivieni, qui e ora: canali di successo, trucchi per le riprese, ottimizzazioni video, promozioni sui social-media. Scorciatoie necessarie? Calma, non è ancora detta l’ultima. Fragori istantanei con tanto di trucco e parrucco, piercing, corpi tatuati. Maori in Occidente?. Liriche bisognose della massificazione (out of the ghetto), allenamenti ed esercizi campionati, refrain dove mettere dentro il più possibile. Dall’esterno: valutare e non giudicare affinché sguardi e ascolti abbiano a che fare con il mare mosso delle contraddizioni. Giovani tra individualismi e collettivi, sberleffo alla “retromania” che sta invadendo pop, rock, persino il cosiddetto cantautorato/bandautorato.

In Trap. Storie distopiche di un futuro assente di UFPT (Agenzia X, pp.167, euro 14) si trovano più radici. Tempi remoti, ascese e declini. Johnny Lydon, il punk, che mixa se stesso con Afrika Bambaataa, ex “guerriero della notte” e poi esponente di spicco della pacifista Zulu Nation. Oppure, fratelli coltelli divenuti fratelli gemelli: punk-funk. Titoli emblematici: We Are All Prostitutes, singolo del Pop Group. E la Gang Of Four: ricordando Andy Gill,  recentemente scomparso. Walk This Way dove Aerosmith e Run DMC facevano comunella. Giorni nostri: Vinicio Capossela e Young Signorino in +Peste: scatti umorali e creativi, “cellule dormienti”.

Chi è UFPT

UFPT, che firma il libro, è un giovane produttore, dj, diplomato in musica elettronica al Conservatorio Cherubini di Firenze e soprattutto meticoloso indagatore perfettamente a suo agio nel districarsi fra oggettistica e lavori a divenire, tanto che azzarda: “Siamo in crisi: se non altro abbiamo trovato la colonna sonora perfetta”.

Attitudini sequenziali e dove adesso c’è un elemento in più da prendere in considerazione. Sono o non sono sinonimi ricerca del consenso e precipitosa ricerca del successo? Approdi: un’isola dei sogni dove convivono picchi di genio e cadute stilistiche. Software craccati, spiragli neo-millenial, digitalizzazioni a macchia d’olio. Trap come nuova proto (sub) cultura. Non è l’ennesima etichettatura musicale da condannare o in cui finire infatuati. Sono nuove forme di linguaggi. Che ad alcuni provocano disgusto: ecco uno dei perché i trapper hanno già vinto. Quali scandali? No problem: successe così anche agli urlatori a Sanremo, ai complessi di capelloni, all’arrivo del punk, al sovraccarico dei bpm techno-disco-rave. La trap che sfida se stessa spingendosi in possibili afrofuturismi (come coniugare Mama Africa con chi inventò la bottiglietta del Campari), che si propaganda attraverso i mutamenti urbanistici, diviene declamazione monologante. Interpretazione linguistica spalmata per il mondo, slang (neo-dialetti ?!?!) che si insinuano tra decodifiche territoriali e fisicità terrestri. Trap- House ma anche Crack-House (Atlanta Scene e pure Memphis) dove capita di ascoltare: “vuoi sapere qualcosa in più sul rap?, prima regola se è reale, non è solo un contratto discografico, è una trappola”.
Ed allora, la trap come elemento transitorio, esaltazione periferica, logica progettuale, intenta a creare un nuovi personaggi “vendibili”. E in Italia? Mixtape tra l’essere contro-culturale e inaspettato mainstream. Centri sociali con staffette generazionali, case discografiche che vogliono investire su musicisti dai vestiti larghi, storytelling alla ricerca di nuove appartenenze geografiche, schermature sul quotidiano. Agorà tra l’Io e il Noi, sul muretto, nella cameretta, pronti ad entrare in scena. Tavola rotonda su sfoggi estetici, utilizzi tecnologici di massa, Mahmood che vince a Sanremo, giovani con la cittadinanza italiana ma figli di immigrati, nuove linfe. Drughi, parchetti, WhatsApp, desiderio di rivalsa, nuovi lasciti, grigi agglomerati urbani, lunghe ed insopportabili attese se risiedi in provincia.

Il futuro e non futuro della trap

La trap è efficace “perché sempre sul pezzo”, almeno dal 1998. Vibrazioni, mescolare, distruggere, ricostruire. Sampling come predisposizioni di pensieri-attack, grido che è percezione. Princess Nokia in “Morphine”, 2017: “La gente pensa che la mia vita sia puro divertimento, ma in realtà è solitaria, non c’è nessuno che possa salvarmi o consolarmi… uso i miei soldi come una coperta e mi ci avvolgo quando mi sento sola”. Sembra roba old new-
wave, roba da The Cure. Dunque la trap come questione aperta, imprevedibile nelle sue modalità d’uso. Uno spintone al deja-vu e all’auto-censura. All’interno: atti anti-discriminatori, misoginia, binarizzazioni, turbo-proletariato, messaggi costruttivi, ambiguità sparse. Tanto che risulta curiosa la postfazione di Stefano Di Trapani che inizia così: “Che futuro ha la trap?. La risposta è: “Nessuno”. E’ abbastanza ovvio poiché non è un genere nato dalla speranza in qualcosa che arriverà, ma dall’incartarsi su un discorso “alla giornata, del qui e ora, del riuscire adesso a costo di bruciarsi”. E a concludere: “Bombardamento a tappeto dei sensi. Non ci capisci più nulla: ma il bello della trap è proprio questo.
Nel momento in cui finirà, forse non ce ne renderemo conto e saremo già andati oltre o forse (più probabile) si ritornerà indietro. Pensando di essere nel futuro, ovviamente”. Suggestivo inserto fotografico con luoghi e volti: il centro sociale milanese Macao, periferie metropolitane, Noyz Narcos, Kaos One, Fabri Fibra, Capo Plaza, Trap House e scuole di elite in Usa. Ulteriori testimonianze tra classi sociali in frantumazione, artisti felpati ed incappucciati ma con lo sguardo all’insù, sberleffo all’impantanata retorica del “come eravamo”. E che, piuttosto, a maggior ragione pongono la domanda sul “come saremo”.
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Ha collaborato con diverse testate giornalistiche e da anni si occupa di controculture in diversi ambiti ed è organizzatore di eventi interdisciplinari. Nel 1994 è stato produttore artistico del disco "I Disertori. Omaggio a Ivano Fossati". Fa parte delle giurie nazionali di alcuni festival e rassegne musicali italiane. Ha pubblicato i libri "Bloom Sviluppi Incontrollati" (Vololibero, 2012) e "Le radici del glicine. Storia di una casa occupata" (Agenzia X, 2017).

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