Parigi, 28.04.2018: gli Arcade Fire all’AccorHotels Arena.
Arcade Fire fanno tappa a Parigi. Ormai la notorietà raggiunta li porta nelle grandi arene: negli Stati Uniti non sempre piene, a dire il vero. Ma in Europa Arcade Fire sono molto amati e i quasi ventimila biglietti dell’AccorHotels Arena vanno esauriti. La band, alla quale non sono mai mancate le trovate sul palco, sceglie una scena centrale addobbata come un ring. Le strobosfere che pendono dal soffitto promettono che si danzerà.
La Preservation Hall Jazz Band apre per gli Arcade Fire
Poco dopo le 19.30 sale sul palco la Preservation Hall Jazz Band. Storica formazione di New Orleans, attiva dagli anni Sessanta, ovviamente con un ricambio di musicisti, arriva in una formazione ricca in suoni e colori. La band tiene in vita la grande tradizione del jazz orchestrale con classe e vitalità infinite. All’AccorHotels Arena suonano per almeno un’ora senza mai annoiare. Insomma ottima scelta per gli Arcade Fire: molto meglio aprire con del grande jazz piuttosto che con una rock band di serie b.
I fratelli Butler & Co. avevano già manifestato in passato il loro amore per il suono di New Orleans. Come nel commovente omaggio per le strade della città in occasione della morte di David Bowie. Comprensibile allora che la Preservation Hall Jazz Band voglia rendere a sua volta omaggio a Bowie concludendo con una ripresa di Oh You Pretty Thing.
L’AccorHotels Arena come un ring per gli Arcade Fire.
Insomma, non si potrebbe iniziare meglio. Nel frattempo l’AccorHotels Arena si va riempiendo sia nei posti a sedere che in quelli in piedi. Alle nove le telecamere inquadrano gli Arcade Fire che attendono nel corridoio d’ingresso proprio come boxeurs. Fendono quindi la folla e salgono sul ring, annunciati da A Fifth Of Beethoven, dalla colonna sonora di Saturday Night Fever.
Si attacca con Everything Now, eseguita insieme al pianista camerunense Patrick Bebey, che si aggiunge a tratti alla già numerosa formazione. Seguono Rebellion (Lies) da Funeral e Here Comes The Night Time da Reflektor, con danzatori haitiani sul palco, che ovviamente restano per Haiti. È un inizio folgorante, con Here Comes, ricca in accelerazioni, a colpire più duro di tutte le altre.
La scena viene gestita bene dagli Arcade Fire. Muoversi sul palco è sempre stato naturale per loro, scambiandosi ruoli e strumenti. Dunque il rivolgersi a un lato o all’altro della platea appare piuttosto naturale, non forzato. In alto quattro schermi ne rimandano le immagini, alternandole a volte con i video. Con le luci è una bella scena che non prende però il sopravvento sulla musica. E non è facile, andrebbe sottolineato, in una sala così grande.
Gli Arcade Fire ripercorrono la propria carriera
Gli Arcade Fire pescano dal loro ricco repertorio non lasciando fuori alcun album. Molto bello ascoltare l’epica My Body Is A Cage, così come alcune canzoni del magnetico The Suburbs. Raggruppati verso i tre quarti della scaletta, portano lo spettacolo con Ready To Start verso il culmine, rappresentato da Reflektor, e poi ancora da Afterlife. Bella doppietta!
Dopo la quale, però, siamo KO. Complice una Creature Comfort che convince poco live come in studio, seguita da una Neighborhood #3 (Power Out) mixata insieme a I Give You Power, altro momento poco convincente della loro carriera.
Quattro encores all’AccorHotels Arena
Breve pausa e poi quattro bis, inclusa The Coffee Cola Song di Francis Bebey, il padre di Patrick. Stanchi noi, stanchi loro… Chissà, dopo due ore piene di concerto è normale. Fatto sta che We Don’t Deserve Love, Everything Now (Continued) e la ‘solita’ conclusione con Wake Up (con l’intera Preservation Hall Jazz Band sul palco) scorrono bene ma non infiammano come nelle battute precedenti.
Detto questo, non ci sono oggi molte band in grado di tenere il palco e una sala di tali dimensioni nello stesso modo, cioè con fantasia, ritmo e qualità delle canzoni. Se l’ultimo disco non ha convinto come i precedenti, live all’AccorHotels Arena di Parigi, gli Arcade Fire sembrano ancora in grado di puntare al titolo mondiale.