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John Mayall al Politeama Genovese – Genova, 27 marzo 2019.

John Mayall Live Genova |Tomtomrock

C’era qualche piccolo dubbio sulla sensatezza dell’andare a un concerto di John Mayall. In fondo il padre del british blues aveva perso la sua centralità sonica verso il 1972 e per lunghi anni si era barcamenato fra dischi modesti e ricordi sempre più sbiaditi dei miti rock da lui allevati (e, a quanto pare, tiranneggiati).

Ma il passare del tempo e, con esso, la mitologizzazione del rock può avere anche i suoi vantaggi ed ecco che l’ottantacinquenne musicista inglese ha smesso di essere un sopravvissuto per occupare la poltrona di “anziano statista del blues”. Con il vantaggio aggiuntivo che nessuno polemizza più sul blues rubato dai bianchi ai neri. Ormai il blues lo suonano quasi solo i bianchi.

John Mayall splendido ottantacinquenne

E allora, bando ai dubbi, si va a sentire John Mayall per la data genovese del  suo tour 85th Anniversary Tour. Anche perché, ammettiamolo, non è detto che il futuro ci riservi una seconda occasione.

John Mayall live in Genova | Tomtomrock
Foto di Ida Tiberio

Alto, un pochino curvo, Mayall si presenta sul palco vestito più da pensionato a Palma di Maiorca che da iconico witchdoctor del Delta. Però si capisce subito che è musicalmente credibile. E lo è anche fisicamente. Per un’ora e 45 minuti si esibisce sempre in piedi – alla faccia della poltrona di statista – passando dall’Hammond (usato in un solo pezzo, purtroppo) al Roland alla chitarra. Poi c’è l’armonica, lo strumento che più di tutti riporta alle glorie sixties del Maestro. Quanto alla voce, il saggio  John parte con timbro nitido anche se non fortissimo – ci mancherebbe – e resta costante sino alla fine. Una lezione di professionalità con feeling.

Un viaggio nel repertorio di John Mayall

Il concerto scorre bene fra blues, r’n’b e New Orleans con doverosi omaggi ai maestri J. B. Lenoir (Voodoo Music) e Sonny Boy Williamson (Checking On My Baby), ripescaggi d’epoca (la purtroppo sempre attuale Nature’s Disappearing) e aggiunte recenti (Delta Hurricane). Spunta anche una versione della Dirty Water dei garagisti Standells. Il basso di Greg Rzab e la batteria di  Jay Davenport dialogano bene (con un bel botta e risposta nel finale), mentre grandi applausi si guadagna la chitarrista Carolyn Wonderland che in due pezzi sfodera anche una robusta voce jopliniana.

Il bis è affidato alla classica The Bear, scritta da Mayall nel 1968 come tributo a Bob Hite dei Canned Heat. E’ forse il momento-nostalgia più forte della serata, anche  se, a pensarci bene, quello che si è ascoltato è il concerto di un anziano musicista che cerca di stare nel presente ed evita persino di proporre un pezzo che si sarebbe immaginato come obbligatorio quale Room To Move, il suo maggior successo commerciale.

E non è che John Mayall, dopo aver salutato tutti, vada subito a letto. No, lui è nel foyer per il firmacopie come un rapper ventenne.

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Nello scorso secolo e in parte di questo ha collaborato con Rockerilla, Musica!, XL e Mucchio Selvaggio. Ha tradotto per Giunti i testi di Nick Cave, Nick Drake, Tom Waits, U2 e altri. E' stato autore di monografie dedicate a Oasis, PJ Harvey e Cranberries e del volume "Folk inglese e musica celtica". In epoca più recente ha curato con John Vignola la riedizione in cd degli album di Rino Gaetano e ha scritto saggi su calcio e musica rock. E' presidente della giuria del Premio Piero Ciampi. Il resto se lo è dimenticato.

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