Il concerto di Mdou Moctar per Electropark, 30 luglio 2022
La salvezza del rock dall’estinzione arriva da Agadez, Niger? Arriva dal mondo Tuareg? Capita di pensarlo ascoltando Mdou Moctar che ha iniziato a Genova la sezione italiano del suo tour europeo estivo.
Niger, Tuareg. Uno pensa “world music”, oppure “desert blues”. In realtà quello che si è ascoltato è stato un flusso musicale senza sosta, ipnotico, trascinante, pervasivo che abbandona subito ogni connotazione di geografia e di genere, anche se, certo, il luogo di irradiazione è il Sahara e la lingua del canto è il tamasheq. Un batterista dal passo sempre incalzante nonostante usi metà del suo kit (l’altra nemmeno la guarda), una sezione ritmica basso/ chitarra elettrica che ci mette la componente circolare (ma sono cerchi veloci: provi a ruotare la testa a tempo e capisci subito bene l’idea di trance) e poi la chitarra solista, oggi forse la migliore in assoluto.
La chitarra di Mdou Moctar
Si dice che i maestri di Moctar siano Jimi Hendrix (mancino come lui) che si sente in paio di passaggi quasi free e poi Eddie Van Halen, meno percepibile se non forse nei volumi strumentali. Ma capita anche di percepire affinità con Richard Thompson, nel fraseggio privo di pesantezze e nella capacità di passare senza stacchi dalla melodia cantata alla parte strumentale, e con John Cipollina dei Quicksilver Messenger Service per le parti più trasognate, psichedeliche volendo. Nessuna traccia di egoriferimenti alla Eric Clapton o di svisatone alla Bonamassa, e questo non può che essere un sollievo. È strano come pezzi che arrivano sovente a dieci minuti, in particolare il classico del repertorio live Tarhatazed, riescano a risultare compatti, senza fronzoli eppure è così. Non tutto nella musica è spiegabile, per fortuna.
Non c’è spazio per le parti più meditative del recente Afrique Victime (anche la title-track di quel disco è trasfigurata), la la chitarra acustica non compare sul palco e brevi sono le parti vocali, tutte a botta e risposta, forse un po’ sacrificate nel missaggio. Solo un’ora e venti di esibizione, bis incluso, che valgono il doppio tale è l’intensità di ogni momento.
Sì, il rock ritorna alla vita partendo da Agadez. D’altra parte Tupelo, Mississippi, è stata una culla altrettanto improbabile, se ci pensiamo bene.
Le foto sono di Ida Tiberio