Il concerto di Rachael Yamagata al Circolo Arci Il Progresso, Firenze, 3 maggio 2019.

Il Circolo Arci Il Progresso, soprattutto grazie all’Associazione Culturale La Chute che ne cura la programmazione musicale, è ormai una realtà affermata della scena musicale fiorentina. Ciò si deve non solo all’ambiente amichevole e informale, ma soprattutto alla qualità delle proposte, che da tempo annoverano anche artisti stranieri di prestigio. Pochi giorni fa vi ha fatto tappa per quello che, se non andiamo errati, è il suo primo tour italiano anche la statunitense Rachael Yamagata.
Apre Harry Keyworth
In apertura si è esibito il cantautore gallese Harry Keyworth. Buona e piuttosto originale tecnica chitarristica, ma songwriting ancora acerbo, ritmica e melodie ripetitive e una non particolarmente gradevole tendenza ad abusare di gorgheggi quasi sempre abbastanza fini a se stessi. Poi, dopo un breve intervallo, è salita sul palco lei.
Rachael Yamagata in tour, ma non per promuovere un nuovo disco
Forse proprio perché si trattava della sua “first time in Italy”, e magari anche perché non ha la necessità di promuovere un disco nuovo – l’ultimo Tightrope Walker risale ormai a quasi tre anni fa e il recente Porch Songs è un ep di sei brani disponibile solo in versione digitale – la cantautrice di Arlington, ma ormai newyorkese, ha offerto una panoramica del suo repertorio. Anche nei dischi la Yamagata fa leva principalmente sul suo songwriting e sulla sua voce, affidandosi a una “produzione” piuttosto scarna ed essenziale sul piano dell’orchestrazione e degli arrangiamenti.

Questo le permette di avere praticamente quasi la stessa “resa sonora” anche nelle esibizioni dal vivo in solo. I suoi testi, un pianoforte, una chitarra e la sua voce. Una voce che sa passare dal dolce al “graffiante” e viceversa senza stacchi e soluzione di continuità, mantenendo sempre un notevolissimo grado di “sincerità” e coinvolgimento. Coinvolgimento che si trasmette immediatamente e inesorabilmente agli ascoltatori.
Il palco al Circolo Arci Il Progresso
Il concerto si è svolto sullo sfondo della proiezione di immagini e filmati i cui soggetti erano sia i luoghi in cui vive sia momenti della sua vita di musicista. In particolare, alcuni erano stati evidentemente girati durante sessioni di lavoro con altri musicisti e trasmettevano una sensazione di tranquilla, a volte malinconica, allegria – passateci l’ossimoro – e di piacere nel fare il proprio mestiere. In ogni caso anche questo “sfondo”, lungi dall’essere meramente “decorativo”, è risultato funzionale a mettere l’artista ancora più in sintonia col pubblico.

Se l’aspetto fisico suggerisce a prima vista una similitudine con la Norah Jones degli esordi, la malinconia di cui sopra e le tematiche prevalenti dei testi l’avvicinano piuttosto ad artiste come Suzanne Vega. Ma la voce, che in certi momenti prende addirittura inflessioni “jazz”, la distingue nettamente da entrambe e le conferisce un’impronta personalissima.
La voce di Rachael Yamagata
Proprio sulla voce c’è da aggiungere una considerazione finale. Probabilmente a causa dello “strano” tempo atmosferico di questi giorni in Italia, quello che è lo “strumento” principale dell’artista americana ha subito qualche ingiuria, e in qualche momento si è sentito. Ma, lungi dal costituire un difetto, questo è stato un elemento che ha conferito al concerto un valore aggiunto perché Rachael ha mostrato grande mestiere nel controllare comunque i suoi mezzi vocali e nel limitare al massimo i “danni”. Pur nel contesto di una sofferenza a tratti evidente e progressiva, ha portato in fondo il concerto sfoderando anzi proprio nel finale, con Duet e Worn Me Down, un paio di esecuzioni da brivido. Quando dopo il concerto, nel fare due chiacchiere col suo tour manager, abbiamo fatto notare quest’aspetto ci ha risposto: “she’s a fighter”. Non possiamo che sottoscrivere!