The Jesus And Mary Chain, Genova, 22 maggio 2018.
Il concerto di The Jesus And Mary Chain inizia con una drastica dichiarazione d’intenti, “I am a rock and roll amputation”, e termina su un’altra frase in tema: “I hate rock’n’roll”. Indiscutibilmente i fratelli Reid non celebrano il rock (and roll) e nemmeno la sua ritualità più classica. D’altronde non lo hanno mai fatto. Certo, nel 1985 i loro concerti erano 25 minuti di feedback e successiva invasione dei palco da parte del pubblico furente (che, volendo, era una ritualità alla rovescia). I Jesus And Mary Chain del 2018 suonano per un’ora e mezza abbondante e fanno 20 pezzi con un bis generoso. Jim Reid non dice una parola fra un pezzo e l’altro, però verso la fine chiede “Vi è piaciuto lo spettacolo?”. Ricevuto in risposta un boato di approvazione, commenta: “Grazie. E’ una cosa molto importante per noi”. Tra l’altro in un inglese quasi oxfordiano.

Resta qualcosa dei vecchi e temibili Jesus And Mary Chain?
Eppure qualcosa dell’antica cattiveria, e dell’approccio anti-rock, permane. Il volume della chitarra di William Reid, per quanto non da orecchie sanguinanti, può risultare punitivo per i non avvezzi, specie nei momenti che più somigliano a un fuoco di fila di note. Anche il light show è piuttosto aggressivo con le luci che pulsano sugli occhi degli spettatori e i musicisti sempre in ombra.
Un gruppo che non è revival di se stesso
In realtà è proprio in questa fusione di modalità diverse che il gruppo risulta credibile. E anche abbastanza motivato sul “qui e ora” anziché interessato solo a fare cassa con i vecchi classici. Lo scorso anno Damage And Joy li aveva visti ritornare alla discografia dopo quasi un ventennio di silenzio, per quanto con materiale non tutto di composizione recente. Un album in ogni caso valido e lo stesso si può dire per la nuova stagione di concerti del gruppo scozzese. Come per le date del 2017, la setlist pesca lungo tutta la discografia. Da Damage And Joy si ritorna indietro sino agli storici esordi di Psychocandy con il repertorio recente (All Things Pass, ad esempio) che non sfigura rispetto a quello d’epoca.

Pop + noise, la miscela dei fratelli Reid funziona ancora
Trascorsi 33 anni (quelli di Gesù…) da allora, manca l’effetto sorpresa dell’inaudito suono pop con frullatore Girmi, tuttavia i fratelli Reid e i loro tre compagni sono ancora magistrali nel fondere melodia e noise, pop e Velvet Underground. I pezzi sono brevi, secchi, tirati, fatta eccezione per Some Candy Talking e l’attesissima Just Like Honey, peraltro unico momento che suona poco convinto. E anche questo è forse un guizzo contro l’ovvietà dei rituali rock.
Resta da dire dell’interazione tra i fratelli Reid, noti per un rapporto artistico-umano a dir poco tempestoso. Se i due non si guardano quasi mai (anche perché William resta perennemente in disparte, cespo di capelli ricci curvo sule sue distorsioni), l’effetto complessivo è quello di una compattezza tutti per uno. Ovvero il massimo che si può chiedere a un gruppo, a prescindere da quel che succede fuori dal palco. La voce di Jim Reid cala un po’ nella seconda parte e la cosa non preoccupa troppo, anzi regala un tocco di vulnerabilità a una band per tradizione considerata fra le più temibili in circolazione.
Chi l’avrebbe detto, negli anni ’80, che avremmo finito per voler bene a The Jesus And Mary Chain?