Il nuovo tour di Daniele Silvestri parte da Genova, teatro Politeama con un tutto esaurito compresi i posti in piedi. Fatto alquanto singolare dal momento che, vista la piazza particolarmente difficile, altri artisti hanno in tempi recenti dovuto annullare la data nella Superba per “mancanza di adesioni”. Il concerto parte volutamente in sordina con La Verità, un brano dai toni dimessi tratto da Acrobati, il nuovo album del cantautore romano, che si presenta in scena al pianoforte. L’atmosfera si riscalda immediatamente col secondo pezzo in scaletta: La Mia Città, dove tutta la band, formata da sette elementi, si esibisce in un’atmosfera più rock dando immediatamente prova di grande professionalità e padronanza tecnica. L’esibizione si snoda nel corso di quasi tre ore durante le quali Silvestri, oltre ai brani recenti, lascia spazio ai vecchi successi arrivando al tripudio finale di Salirò, Aria e Cohiba. Il pubblico è entusiasta. Il target è davvero ampio: dai ventenni che danzano a una platea più attempata che canta; tutti assolutamente preparati e attenti a non perdere una parola (e sulle parole Silvestri non si risparmia) dei testi delle canzoni più o meno note
Il concerto è riuscito. La bravura della band e del protagonista, che maneggia abilmente tastiere e chitarre, rivelano una preparazione degna di un artista completo giunto alla definitiva maturità artistica dopo vent’anni di carriera e svariate esperienze musicali. Lo spettacolo propriamente detto non c’è ed è normale che sia così. Il protagonista, cantautore e cantastorie, non usa effetti speciali preferendo interloquire con la platea tra un brano e l’altro, creand una dimensione più adatta a un club che a un teatro. Daniele Silvestri fa parte dell’ultima generazione di cantautori italiani, insieme agli amici Fabi, Gazzè e pochi altri. Dopo di loro i Talent hanno fatto piazza pulita, quindi nel genere si è creata una vacanza di nuove proposte adeguate a rivitalizzare una tradizione peculiare del Belpaese.
La carriera di Silvestri si può dividere in due parti, per un totale di nove album in studio, entrambe contrassegnate da un dichiarato e sincero impegno politico. La prima, quella degli anni ’90, dove musicalmente uno spirito più goliardico e scanzonato la faceva da padrone, e la seconda, anni ‘00, in cui una linea melodica più raffinata, con richiami al jazz e allo swing, si interseca a classiche ballate rockeggianti impreziosite da intuizioni particolarmente azzeccate.
Questa è la musica colta dell’Italia di oggi. Per definizione molto collocata territorialmente e quindi non esportabile, ma con un pubblico affezionato che magari non compra più dischi, ma che a un concerto, non propriamente popolare, è capace di entusiasmarsi. E questo è un grosso risultato.
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