I Fat White Family presentano Champagne Holocaust.
Hanno fatto sensazione lo scorso anno i Fat White Family con un disco (Champagne Holocaust) sporchissimo nei suoni e nei contenuti, con qualche storia di débauche molto rock’n’roll vecchio stile, con un cartello “The witch is dead” esposto sopra il pub dove vivevano per celebrare la morte della Thatcher e soprattutto con live incendiari ben superiori rispetto alla registrazione in studio (“in studio” si fa per dire…).
Aprono i Voyeurs
Ma prima di vedere quanto c’è di vero, parliamo della band che apre la serata, ossia i Voyeurs, ex Charlie Boyer And The Voyeurs. Suonano un garage a tinte psichedeliche piuttosto gradevole, tengono bene la scena e forse mancano ancora, per emergere, di brani che si staglino sopra la media e siano quindi più facilmente individuabili.
I Fat White Family si rivelano ottima live band
Dopo mezz’ora lasciano il posto agli attesissimi Fat White Family: formazione a sei, affollati sul palco di modeste dimensioni. L’aspetto rinvia al cliché “brutti sporchi e cattivi” in una versione molto inglese (non per niente uno dei brani si chiama I Am Mark E. Smith), nonostante il cantante/chitarrista Saul Adamczewski abbia militato in passato negli assai meno trash Metros, con i quali esibiva un aspetto decisamente più brit-pop.
Ma è inutile malignare: dal vivo i Fat White Family ci sanno fare, merito almeno in parte dell’altro cantante e frontman, Lias Saudi, che si sbatte molto e catalizza gli sguardi. Garage e psichedelia si fondono bene nella loro musica, che suona come una versione sciamannata dei Cramps. Mica poco, a ben vedere, anche quando i brani non sono eccelsi. E dove invece il sestetto ha anche le canzoni (come per Is It Raining In Your Mouth?: “I was born to have it, and you were born to take it, so tell me baby is it raining it in your mouth?)” lo spettacolo ha veramente una marcia in più. In particolare il loro brano migliore, Cream Of The Young (testo irreperibile online a causa dei contenuti), dal vivo perde la patina quasi pop del disco e si trasforma in un surf-swamp-rock dalle atmosfere genuinamente allucinate.
Il pubblico è caldo e scatenato, incitato bene dalla band, che finirà i 45 minuti di concerto surfando (non tutti, due su sei) a sua volta sulle teste sudate. Fama meritata, insomma, e voci di una nuova, più professionale registrazione già in programma. Da seguire.