Foals

L’Olympia accoglie i Foals

Avevo visto i Foals dal vivo durante un festival nel 2010 e mi erano sembrati gradevoli, leggeri e poco più; a quell’epoca avevano appena pubblicato il loro secondo disco ed erano una giovane band in ascesa. E’ stato detto da più parti che con il nuovo disco, Holy Fire, i Foals hanno compiuto un salto: da indie band verso un successo più ampio, e questo non cambiando la loro formula, ma rafforzandola. Se si deve giudicare dai progressi compiuti live, allora è proprio così; i Foals sono oggi un gruppo in grado di produrre uno spettacolo di altissima caratura. Ma andiamo per ordine. Il concerto si tiene nella mitica sede dell’Olympia, circa 2000 posti in piedi e a sedere, esauriti da mesi; non è un caso che il prossimo round di concerti dei Foals, dopo l’estate, sia previsto in sedi ben più capienti.

Di scena gli Jagwar Ma

Aprono i Jagwar Ma, duo australiano in ascesa, che suonano per oltre mezz’ora una versione aggiornata degli Happy Mondays e del suono Madchester. Poco dopo le 21 è il momento dei Foals: la prima cosa da notare è che l’apparato di luci e la potenza del suono sono già pensati per arene molto più grandi; l’effetto in un teatro è dunque esplosivo – e magari potenzialmente pericoloso per la resa, se non fosse che l’acustica di questi teatri storici permane eccellente.

L’energia dei Foals

La band propone un misto superenergetico di rock e white funk; Yannis Philippakis è ormai un frontman eccellente, riuscendo a muoversi bene sul palco e a tuffarsi tra la folla, ma contemporaneamente a tenere alta la qualità della voce e la prestazione come chitarrista. La setlist contiene un mix di brani dall’ultimo LP e dai due precedenti; manca il loro primo successo, Cassius, ma abbiamo una lettura molto bella di Spanish Sahara. My Number e Late Night (da Holy Fire) sono applauditissime e soprattutto quest’ultima è dal vivo molto più efficace che sul disco, come Inhaler, forse il momento di maggior trionfo. Verso la fine e nei bis anche il suono dei Foals vira sempre più verso quella fusione di alternative rock, psichedelia e acid house che era tipica della Manchester fine ’80-primi ’90: mostrando così una delle loro radici a volte nascoste dalla patina pop delle loro canzoni; non per niente i Jagwar Ma salgono sul palco per le battute finali e, con Two Steps, Twice, chiudono nel chaos generale il concerto.

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Mi piace la musica senza confini di genere e ha sempre fatto parte della mia vita. La foto del profilo dice da dove sono partita e le origini non si dimenticano; oggi ascolto molto hip-hop e sono curiosa verso tutte le nuove tendenze. Condividere gli ascolti con gli altri è fondamentale: per questo ho fondato TomTomRock.

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