James Blake ritorna a Parigi
Due anni fa avevo avuto il piacere di assistere all’esordio parigino di James Blake nello spazio raccolto e affollato della Maroquinerie. Il 4 luglio scorso, con il nuovo, splendido Overgrown uscito da pochi mesi, eccolo con la medesima formazione, sebbene in un luogo molto più grande: il teatro della Cité de la Musique, nell’ambito del festival Days Off, è ugualmente sold out, ma l’atmosfera è anche differente. I pro: si tratta di un teatro bellissimo, concepito per la musica classica e dotato di un’acustica perfetta; persino quando il musicista batte il piede sulla pedana lo si può sentire con chiarezza. I contro: tutti comodi posti a sedere, belle poltrone spaziose, ma con l’effetto di sembrare in una “birdcage”, come dirà un paio di volte lo stesso Blake. Eppure, per quanti hanno ascoltato Overgrown, non sembrerebbe poi un controsenso goderselo confortevolmente in poltrona. E invece, come diremo, così non è.
Sohn e subito dopo: James Blake
Apre il concerto Sohn, accompagnato da due strumentisti, un musicista che si muove negli stessi territori di James Blake, seppure con minore incisività. E’ comunque uno show di buon livello, applaudito dal pubblico. Il cambio palco è rapido e poco dopo le nove sono in scena James Blake, il percussionista Ben Assiter e il chitarrista (e altro) Rob “Airhead” McAndrews. La setlist vede un’alternanza di nuove e vecchie cose: si comincia con Air & Lack Thereof e si prosegue con I Never Learnt To Share, Life Round Here, To The Last, Overgrown.
Un live fuori dal comune
L’esecuzione è perfetta, il trattamento della voce che James Blake è in grado di riproporre live è una delle cose che tengono inchiodati a quanto succede sul palco; ma bisogna dire che la maestria con la quale l’elettronica è messa al servizio della dimensione live è ciò che caratterizza tutti e tre i musicisti: per esempio il batterista utilizza sia percussioni tradizionali sia elettroniche, riuscendo a ottenere una gamma di suoni vastissima all’interno di uno stesso brano; James Blake registra loops della sua voce che continuano ad andare mentre lui canta, filtrati attraverso il sampler controllato dal chitarrista. A sua volta, Blake si divide tra un synth e un piano Nord stage. Il fatto è che, rispetto ad altri set di elettronica, il loro riesce a lasciare uno spazio enorme all’improvvisazione. Così come si evince dalla successiva CMYK, che mi sembra esser stata il punto di svolta del concerto. E’ uno dei brani strumentali precedenti il LP di debutto omonimo, ed è anche uno di quelli legati al dubstep degli esordi: dal vivo, una geometria straordinaria e travolgente di suoni e percussioni.
Folate di elettronica si alternano a momenti più quieti
E’ da questo momento che si realizza come James Blake sia, fortunatamente, molto più di una sorta di “cantautore elettronico”: la dimensione dance e quella soul sono troppo radicate nel suo DNA e, così come per lui lo star seduto dietro le tastiere pare a volta una specie di tortura, tanto sembra trasportato dalla musica, anche per il pubblico le poltrone comode cominciano a stare veramente troppo strette. Questa è musica che scuote, non uno spettacolo al quale meramente “assistere”. I Am Sold, Our Love Comes Back, Lindisfarne I / Lindisfarne II passano intense, accolte da un pubblico il cui entusiasmo sembra crescere ogni momento un po’ di più, fino all’apoteosi di Limit to Your Love, con una lunga coda dub che si trasforma nella straordinaria Klavierwerke, altro brano non tratto dai due LP, ma da un EP precedente, ancor più frenetica di CMYK. Poi è la volta di Voyer (peccato solo per l’assenza di Digital Lion), che come su disco ha un breve inizio tranquillo e poi si trasforma in una tempesta.
Retrograde non può mancare
Il pubblico ormai è tutto in piedi e sotto il palco, dove si gode l’intensità di Retrograde e, dopo un brevissimo intervallo, The Wilhelm Scream e A Case of You, la cover di Joni Mitchell che James Blake esegue da solo. Rispetto al concerto del 2011 la formula in un certo senso non cambia, ma l’esperienza live ha reso il terzetto una macchina da concerti magari peculiare (ed è una ricchezza), ma certo non inferiore quanto a potenza rispetto a spettacoli più tradizionalmente “rock”.