Alasdair Roberts

 Alasdair Roberts

di Fausto Meirana

Si poteva pensare che Alasdair Roberts, dopo Hirta Songs, disco complesso, quasi antropologico, frutto della collaborazione con il poeta Robin Robertson, scegliesse un seguito più leggero, analogo magari allo spigliato folk di Too Long In This Condition (2010) o alla contaminazione di A Wonder Working Stone (2013). Al contrario il disco omonimo si dedica ancora, almeno in parte, a scavare nell’ampio solco della tradizione pura; i brani sono tutti originali, ma utilizzano, dichiaratamente, antiche melodie e i testi convergono sui temi tipici delle ballate popolari: morte, magia, oscuri vagabondaggi notturni e ovviamente amori non corrisposti. La voce e la chitarra, quest’ultima in particolare, dominano gli essenziali ma ariosi arrangiamenti e sono poste in primo piano dall’eccellente registrazione, pur coadiuvate da un piccolo gruppo di musicisti: Donald Lindsay al clarinetto, Alex South al tin whistle e le quattro voci dell’ensemble The Crying Lion di Glasgow. Roberts stesso provvede ad aggiungere, dove necessario, le occasionali tastiere, il basso o piccole percussioni. Un ottimo disco, che riporta alla stagione d’oro del folk revival anglo-scozzese, ricordando nomi importanti come Martin Carthy, Dick Gaughan e, naturalmente, Nic Jones.

8,7/10

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Alasdair Roberts – In Dispraise Of Hunger

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