Angus-Julia-Stone

Angus-Julia-Stone

di Antonio Vivaldi

“Proposta che non si può rifiutare” è un’espressione dai connotati di sottesa minaccia. Per fortuna non è sempre così. La storia di questo disco lo dimostra.

Circa un anno fa, il noto produttore Rick Rubin si trova a una festa che s’immagina molto ‘posh’. Rubin è uno con un CV artistico da paura, avendo prodotto gente come Jay-Z, Red Hot Chili Peppers, Lana Del Rey e, soprattutto, avendo coordinato il gran finale di carriera di Johnny Cash. Alla festa in questione qualcuno fa ascoltare al barbuto guru rock-folk-rap le canzoni di un duo australiano folk-pop, Angus & Julia Stone, e il nostro decide seduta stante di produrli. C’è però un problema: belli come fotomodelli e scombinati come tutti gli artisti ‘alternativi’, i fratelli Angus e Julia hanno deciso di mollare la carriera in coppia dopo un paio di album e vari e premi e proseguire ognuno per conto proprio. A quanto raccontano, i due dapprincipio non hanno idea di chi sia questo Rubin da cui ricevono e-mail tanto incalzanti (“non leggiamo mai i crediti dei dischi che ascoltiamo”), poi s’informano e si rendono conto che si tratta, appunto, di una proposta che non si può rifiutare.
Il fatto che questo terzo album porti semplicemente i nomi dei due titolari dà l’idea di un nuovo inizio e l’ascolto consolida la tesi: non più musica in coabitazione con i pezzi dell’uno ben distinti da quelli dell’altra, ma uno sforzo a tutti gli effetti comune. In comune agiscono anche due elementi all’apparenza contrapposti: una naturale intensità che si sforza abilmente di non sfociare nel melò (con riferimenti che viaggiano fra Go-Betweens, Portishead e Nei Young) e un’altrettanto naturale tendenza verso il noir alla moda e la melodia-perfetta-per–la sigla-di-una-serie-tv (qui il nome che viene in mente è Lana Del Rey). Un’intenzione tanto forte potrebbe risultare fastidiosa, non fosse che le melodie sono quasi sempre piuttosto belle nella loro malinconia urbana irrobustita dal minimo ritmo necessario, mentre  i testi articolano bene i pieni e i vuoti dell’amor giovane oppure raccontano storie curiose come un furto di lampadine in un centro commerciale (Main Street). Quanto a Rubin si comporta da par suo: ovvero lavora molto allo scopo di apparire poco con suoni fluidi e il tocco giusto al momento giusto. Al momento i riscontri commerciali non paiono clamorosi e anche le recensioni fin qui uscite non si lasciano andare all’entusiasmo, forse sospettose di quella vaga furbizia di fondo di cui si diceva (invece l’autunnale spocchia dei Mazzy Star – giusto per citare un altro duo ambosessi – è arte per l’arte, vero?). Se il giudizio sul valore del lavoro resta dunque un po’ in sospeso, la storia che gli ha dato origine si candida già ora a più bella del 2014.

7,4/10

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Angus & Julia Stone – A Heartbreak        

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