Bedouine : dalla Siria a Laurel Canyon.
A distanza esatta di due anni dall’esordio, arriva il secondo album di Bedouine, nome d’arte di Azniv Korkejian. Nata ad Aleppo da genitori armeni e che, prima di trasferirsi a dieci anni negli Stati Uniti, ha vissuto in un villaggio americano in Arabia Saudita. Oggi vive a Los Angeles e della città californiana deve aver ben respirato l’aria che qualche decennio fa agitava Laurel Canyon. Nell’esordio infatti la musica folk della cantautrice avrebbe potuto benissimo appartenere a un disco uscito una cinquantina d’anni prima e collocato fra quelli di Joni Mitchell, Emmylou Harris o Melanie.
Bedouine – Bird Songs of a Killjoy
Sensazione che si ripete anche per Bird Songs of a Killjoy, opera che peraltro conferma quanto di buono aveva mostrato l’esordio. Ma oggi il suono di Bedouine si è evoluto. Pur mantenendo la volontà di registrare tutto in analogico, ha optato per arrangiamenti più ricchi ad affiancare il ruolo centrale della chitarra e a rendere più viva la coloritura emotiva dei brani. Collaborano una decina di musicisti, Trey Pollard cura gli arrangiamenti, mentre il disco è prodotto come il precedente da Gus Seyffert che si cimenta pure in diversi strumenti, baso, chitarre, synth, tastiere, viola.
I riferimenti musicali di Bedouine in Bird Songs of a Killjoy
Ma siamo comunque in continuità con l’opera d’esordio. Nessun eccesso, l’atmosfera rimane intima e raccolta, il canto è quasi un sussurro, una confidenza che Bedouine ci offre per parlarci degli anfratti più reconditi del suo animo. Perché aldilà di tutti gli strumenti è la voce quella che innanzitutto caratterizza la musica di Bedouine, il suo timbro lievemente venato di scuro ricorda quello di Melanie, ovviamente senza i toni alti che qui sono quasi del tutto assenti.
A questo va aggiunto una leggerezza adolescenziale con quel tocco di innocente e seducente malizia che la avvicina alle cantanti francesi dei sixties. Altro punto a favore è la bella e chiara pronuncia che nobilita testi asciutti ed essenziali, ma al contempo evocativi. Quanto senso della nostalgia e del ricordo nei versi iniziali di Under the Night «Oh, Kentucky, I miss you / Your night sky, black and tired / But wild like a live wire»!
I temi centrali di Bird Songs of a Killjoy
Le dodici tracce di Bird Songs of a Killjoy compongono un paesaggio umbratile e malinconico dove gli amori sono sempre fragili, sul punto di abbandonarti, la felicità effimera, il presente è intriso di ricordi e rimpianti per ciò che è stato e per ciò che avrebbe potuto essere se…
L’amore è sentimento difficile e pericoloso da gestire, come si domanda in One More Time, una delle canzoni più belle dell’album, «Am I to you, some sort of chain? / Are you a bird? Am I your cage?».
Il tema degli uccelli ricorre sempre, a volte protagonisti fin dai titoli, Bird, Bird Gone Wild, Hummingbird, altre inserito nei versi delle canzoni, utilizzato come metafora per parlare di sé, dei suoi sentimenti, delle sue incertezze, come nella meravigliosamente languida Bird. O del nomadismo e dello sradicamento che comporta il trasferirsi e vivere all’estero come in Bird Gone Wild.
https://youtu.be/TJLrToj-juU
C’è spazio anche per un tema sociale, la gentrification nel country alla Joni Mitchell di Echo Park, rivissuto in chiave intima come la perdita dei luoghi che ci sono cari. Il secondo lavoro di Bedouine ci regala un’artista matura e consapevole, dissipa qualunque dubbio sul suo valore e sulla sua voglia di non adagiarsi su una formula fissa. Si pensi all’uso dei field recordings in Echo Park, alle inquiete sonorità sperimentali di Dizzy, alla bossa nova di Matters of the Heart.
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