La musica è diventata liquida, dicono. (E in questo modo è stata liquidata, aggiungono i cinici.) Così liquida che intorno a noi scorrono fiumi di banalità fangose e nemmeno ci si accorge degli occasionali ruscelli limpidi. La cosa vale, all’ennesima (im)potenza, per la musica italiana, meno in salute di altre e dunque più facile al contagio di quella malattia ancora senza vaccino detta talent (1). Sono così pochi i buoni dischi prodotti in Italia che dimenticarne uno di valore è davvero una colpa professionale.
La lunga e lagnosa premessa serve anche come giustificazione per il ritardo con cui viene recensito Can I Frame The Blue?, album d’esordio di Christine IX. Il disco ha potuto vedere la luce solo grazie a una raccolta fondi in rete e, sempre per proseguire nella metafora fluviale, è arrivato a noi per vie carsiche. Ma almeno è arrivato (2).
Christine IX esordisce in modo davvero ‘internazionale’
In sintonia con la sua sigla artistica, l’ex Shotgun Babies mette in fila nove canzoni banalmente definibili come intense, potenti. E anche “suonate con energia”. Fin qui sono capaci più o meno tutti. Per agganciare chi ascolta serve qualcosa in più. Serve, ad esempio, saper prendere i propri referenti musicali, assimilarli e poi farli lavorare a livello inconsapevole. In tal modo un pezzo come l’iniziale You Are Not Me viaggia fra la Siouxsie goth e i Nirvana senza citare esplicitamente né l’una né gli altri. E nemmeno Courtney Love, menzionata come pietra di paragone da più recensori.
Altra cosa che serve è saper scrivere pezzi in grado di canalizzare l’energia di cui si diceva dandole forme articolate. Ad esempio Diorama ha una forma circolare che vira verso il suadente, mentre I Love Life So Much I Want To Die (si spera che il titolo non venga preso alla lettera) suona epica senza retorica.
Can I Frame The Blue? è intensità bene articolata
In questo tripudio di complimenti rientra anche una voce in grado di lavorare su più registri. Peccato solo che ricorra troppo spesso a un timbro roco-rabbioso che risulta un po’ forzato. Anche perché l’emotività dei pezzi è vivida e percepibile senza necessità di sottolineature. Ciò detto, Can I Frame The Blue? è un disco che si può definire notevole senza dover premettere “per essere italiano”. Non si fosse appropriato dell’idea un celebre romanzetto finto-eccitante, verrebbe voglia di descriverlo come nove sfumature di blu. Blu molto carico, s’intende.
(1) Il dato è oggettivo. Chi scrive fa parte della giuria di un premio musicale e si trova di fronte a miriade di prodotti con lo stesso suono piacione e, appunto, da talent. Ogni forma di ‘devianza’ è ormai bandita.
(2) Lo stesso discorso vale per un altro bel disco italiano recente, Whales Know The Route di Verdiana Raw.
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