Come gli Stone Roses e gli Oasis, i Courteeners arrivano da Manchester e questo significa un’attitudine e una tradizione. Cominciamo dalla prima: nello stile dei suoi famosi concittadini rock, il frontman Liam (un nome una garanzia) Fray ama amare se stesso e odiare i colleghi, la stampa e persino i poteri occulti quando i dischi del suo gruppo non arrivano al n. 1 GB: “A certa gente non vai bene, se sei del nord, sei bello e hai talento”. Quanto alla tradizione, i Courteeners si inseriscono nel solco di un suono potente, robusto e melodico, non solo di matrice mancuniana, ma genericamente britannica, che può far pensare ai Kasabian, ai Muse e a una modalità che potremmo definire glastoburiana (o anche glastonburina…).
Come i due lavori precedenti, Anna gioca sul sentimentale-virile, inserisce qualche tocco anni ’80 come oggi piace (Lose Control) e tira sempre al ritornello da ‘cantare tutti insieme ubriachi sotto la pioggia’ (Welcome to the Rave). Detto così, l’insieme suona un po’ furbo, mentre in realtà i Courteeners hanno indiscutibilmente un bel tiro, sanno scrivere i pezzi (bridge inclusi) e, cosa più importante, contribuiscono a salvare un genere in via d’estinzione quale il rock con le chitarre. Non sembrano un granché solo quando rallentano il passo: Marquee, ad esempio, vorrebbe essere malinconica ma suona un po’ goffa e, ahinoi, somigliante a Last Christmas degli Wham!. Chissà come la prende Fray se glielo si dice.
6,3/10